domenica 1 luglio 2018
Nella prima «maxi-elección», il progressista López Obrador vola nei sondaggi
Il candidato in testa nei sondaggi è Andrés Manuel López Obrador, figura storica della sinistra messicana (Ansa)

Il candidato in testa nei sondaggi è Andrés Manuel López Obrador, figura storica della sinistra messicana (Ansa)

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Buona la terza. Forse. Con circa venti punti di vantaggio sul più prossimo dei suoi rivali, Andrés Manuel López Obrador, figura storica delle sinistra messicana, si appresta a conquistare oggi – non è previsto ballottaggio – il “trono dell’aquila”, come chiamava la sedia presidenziale il celebre scrittore Carlos Fuentes. Amlo, così lo hanno ribattezzato i sostenitori, si presenta alla “maxi-elección”, la più grande della storia del Paese – si rinnova l’intero assetto istituzionale, dai parlamentari a migliaia di autorità locali, per un totale di quasi 3mila posti in palio –, dopo due successive sconfitte.

L’ultima nel 2012, quando i cittadini gli preferirono il riformista liberale Enrique Peña Nieto del Partido revolucionario institucional (Pri). Più nota la prima batosta, nel 2006, quando fu sconfitto per un soffio – mezzo punto percentuale – dal conservatore Felipe Calderón, del Partido de acción nacional (Pan). Allora l’ex sindaco di Città del Messico non riconobbe i risultati e organizzò una serie di proteste andate avanti per mesi. Proprio la necessità di legittimarsi, secondo vari analisti, spinse Calderón a dichiarare la “guerra alla droga”, avviando una spirale di violenza senza precedenti.

Dodici anni e oltre 250mila vittime dopo, López Obrador ci riprova. Con una formazione nuova – Morena –, acronimo di Movimiento de rigeneración nacional ma anche un riferimento al colore scuro di indigeni e contadini del Messico rurale – il più dimenticato –, che ha promesso di tutelare. E con una coalizione “anomala”, che tiene insieme ultra-destra e ultra-sinistra, oltre a vari transfughi di Pri e Pan, nonché vari imprenditori. “Destra e sinistra unite non saranno mai battute”, ironizzava il poeta Nicanor Parra. E in effetti, stavolta, Amlo è in testa ai sondaggi, che lo danno a quota 49 per cento.

Oltre al suo carisma personale – con qualche venatura messianica di troppo, denunciano i detrattori –, due sono, fondamentalmente, le ragioni dell’exploit. Sul boom di Amlo pesa, in primo luogo, l’“effetto-Trump”. La retorica violentemente “anti-messicana” del tycoon – dal muro ai “bad hombres” – ha fatto guadagnare consensi al progetto nazionalista di Amlo che, pur avendo garantito sostegno agli investimenti privati con la creazione di una zona franca lungo il confine con gli Usa, propone un ruolo forte dello Stato per correggere l’elevata diseguaglianza e far sviluppare le regioni povere del Sud. Per aver sporto denuncia contro il muro alla Commissione interamericana per i diritti umani, il candidato di Morena è considerato un difensore dell’“orgullo méxicano”, soprattutto rispetto all’atteggiamento conciliante dell’attuale leader Peña Nieto. L’altro fattore determinante è il carattere “eccezionale” dell’attuale congiuntura nazionale. Con due terzi del Paese fuori controllo e interi pezzi di istituzioni nelle mani della criminalità organizzata, i cittadini vedono in Amlo l’unica alternativa di uscire dal tunnel. Mentre tutti e tre gli avversari incarnano, in qualche modo, la continuità.

Sia Ricardo Anaya – a quota 28 per cento –, giovane rappresentante del Pan, partito a cui viene imputato l’avvia della narco-guerra. Sia José Antonio Meade, esponente del Pri, attualmente al governo. Mentre Jaime Rodríguez Calderón, il candidato indipendente, che per la prima volta sono ammessi alla competizione, risulta troppo eccessivo nelle sue boutade – in primis quella di tagliare le mani ai corrotti – ed è fermo al 3 per cento. Oltretutto la scelta dei tre di attaccare frontalmente López Obrador, accusandolo di essere un nuovo Chávez, si è rivelata controproducente.

A 101 anni dalla storica elezione che inaugurò il nuovo corso post-rivoluzionario, sottolinea lo storico Massimo De Giuseppe, il Messico punta sul cambiamento. Sarà davvero così? Molto dipenderà dall’esito globale della “grande corsa” e dall’equilibrio di forze in Parlamento e nelle amministrazioni locali.

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