giovedì 24 luglio 2014
​Due mesi di impegno costante, per informare e sensibilizzare. E i messaggi dei nostri lettori, quasi 100mila, sono stati consegnati all'ambasciata sudanese a Roma.
Ciò che sappiamo di Marco Tarquinio (16 maggio 2014)
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Ai lettori di Avvenire la vicenda di Meriam è ben nota. Tutto è cominciato proprio sul nostro sito Avvenire.it, nel pomeriggio del 15 maggio, quando dalle agenzie di stampa è giunta in redazione la notizia della sentenza emessa da un tribunale sudanese. Condanna a morte per apostasia, più cento frustate per adulterio. È stata immediata la decisione di prenderci a cuore le sorti di questa giovane madre sudanese, cristiana ortodossa, al nono mese di gravidanza, arrestata nell’agosto del 2013 e in carcere da febbraio.La sentenza era del 5 maggio, dieci giorni prima, ma ci sono parti del mondo da dove le notizie arrivano a rilento. L’11 maggio il giudice le aveva offerto la salvezza a patto che si convertisse all'islam. Tre giorni per pensarci. Il 14 maggio, davanti al magistrato, Meriam aveva rifiutato di rinnegare Cristo.Immediatamente, quel 15 maggio, abbiamo lanciato un appello ai nostri lettori: gridate insieme a noi “Meriam deve vivere”, urliamolo al mondo. E subito è partita la nostra campagna via Twitter e Facebook #meriamdevevivere accompagnata dalla raccolta di adesioni direttamente sul nostro sito, tramite un guestbook, e via mail all'indirizzo dedicato meriamdevevivere@avvenire.it (ora disattivato). Contemporaneamente anche la ong Italians for Darfur ha avviato una raccolta di firme da inviare al presidente sudanese Omar al-Bashir.Tra i primi ad aderire alla nostra campagna il presidente del Consiglio Matteo Renzi, che il 16 maggio ha twittato: “Mi unisco alla campagna di Avvenire #Meriamdevevivere. L’Italia farà sentire la sua voce anche nelle sedi diplomatiche #Libertàdifede”. Promessa mantenuta: il caso di Meriam è arrivato a Bruxelles, citato dal premier nel discorso di inaugurazione del semestre di presidenza italiana. Anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in un messaggio ufficiale, ha detto di seguire il caso con “viva partecipazione”. Parole che hanno “commosso” il marito di Meriam. Raggiunto telefonicamente da Avvenire, Daniel ha chiesto: “Portategli il mio personale ringraziamento. Il supporto della comunità internazionale è il motore che ci sta aiutando ad andare avanti”.Per oltre un mese Avvenire ha continuato a tenere alta l’attenzione sul dramma di questa madre di 27 anni, in procinto di partorire, che languiva in catene con il figlioletto di 20 mesi, condannata a morte solo perché cristiana. La generosa solidarietà dei nostri lettori si è manifestata come un torrente in piena: abbiamo ricevuto 81.000 email e raccolto oltre 8.100 adesioni sul guestbook online. Senza contare i contatti su Twitter e le condivisioni su Facebook, che hanno ampiamente superato il milione.Finalmente, il 23 giugno, la svolta: grazie anche a una massiccia mobilitazione internazionale, la Corte d'appello sudanese ordina la liberazione di Meriam. Nel frattempo la donna ha partorito, in catene, la piccola Maya. Ed è rimasta chiusa in carcere, insieme ai suoi bambini.Una gioia breve, la speranza si rivela illusoria: l’indomani Meriam viene nuovamente arrestata, all’aeroporto di Khartum, mentre con il marito e i figli cerca di lasciare il paese. Quel giorno scrivemmo sul sito: “Le emozioni oscillano tra ansia e speranza. Meriam non è sola. L'opinione pubblica mondiale - e i lettori di Avvenire in primo luogo - le sono stati vicino nei momenti più difficili, quando era incinta e in catene. Non la lasceranno proprio ora”.Così è ripartita, con nuovo vigore, la nostra campagna. Di informazione, costante e puntuale, anche grazie ai contatti telefonici con i legali di Meriam, e di sensibilizzazione. I messaggi dei nostri lettori sono stati raccolti e consegnati, a Roma, nelle mani dell’ambasciatrice sudanese.Il 26 giugno, in tarda serata, la notizia a lungo attesa: Meriam è libera, può uscire di prigione. Un video della Bbc, rilanciato dal nostro sito, la mostra mentre, con marito e bambini, viene condotta all’ambasciata degli Stati Uniti (il marito Daniel ha passaporto americano, oltre che del Sud Sudan).Ospiti a tempo indeterminato, Meriam e i suoi vivono in una stanza in attesa del sospirato via libera ai documenti per l’espatrio. Qui avvengono l’incontro con la presidente di Italians for Darfur, Antonella Napoli, e con il viceministro degli Esteri, Lapo Pistelli. L’Italia, promette il rappresentante del governo, farà sua la battaglia di Meriam.Infine, il lieto "blitz". Meriam è a Roma con tutta la famiglia. Stanno tutti bene. E anche noi.
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