sabato 28 giugno 2014
​È chiusa nell'ambasciata americana. Pressioni per il via libera all'espatrio.
Se la sharia vince sul diritto di Giulio Albanese
LA MOBILITAZIONE DI AVVENIRE | LA VICENDA
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«Ringrazio tutti quelli che mi sono stati vicini. Mi affido a Dio e voglio stare con la mia famiglia». Attende. Chiusa nell’ambasciata statunitense di Khartum, insieme al marito Daniel Wani e ai figli Martin e Maya, Meriam Ibrahim aspetta la riapertura oggi dellla Corte d’appello, dopo la festività settimanale islamica, per poter finalmente avere l’atteso nullaosta e partire verso gli Stati Uniti. La breve dichiarazione è arrivata ad Antonella Napoli, presidente di Italians for Darfur, tramite il capo del collegio della difesa della donna, Mohaned Elnour. Non si arrende, dunque, la 27enne cristiana e continua a sperare. Anche se la soluzione di questa surreale vicenda giudiziaria potrebbe non essere immediata. «Non si sa quanto ci vorrà per avere il via libera. E fino ad allora, Meriam non potrà lasciare il Sudan», ha precisato ad Avvenire Elnour. Sono trascorsi cinque giorni da quando i giudici hanno deciso di annullare la condanna a morte per apostasia comminata il 15 maggio. La libertà, però, è durata poco per Meriam: all’indomani del rilascio la giovane è stata fermata all’aeroporto della capitale dalle forze di sicurezza. La ragione del nuovo stop è relativa al documento di viaggio, emesso d’urgenza dall’ambasciata del Sud Sudan, Paese d’origine del marito. Per Khartum questa è stata una violazione delle norme sull’immigrazione: Juba non ha facolta di emettere passaporti – hanno precisato dal governo sudanese – solo per i propri cittadini. E Meriam non lo è. La giovane è sudanese come il padre, un islamico che ha abbandonato la famiglia: a crescerla è stata la madre, etiope ortodossa, che l’ha educata nella fede cristiana. Per questo, la donna ha sempre smentito con coraggio l’accusa di apostasia: non ha lasciato l’islam, perché non l’ha mai abbracciato. Anche i giudici, alla fine, hanno dovuto accettarlo.L’incubo kafkiano della mamma cristiana, però, non è ancora finito. Khartum ha rilasciato il documento regolare. L’esecutivo ha provveduto a emettere un passaporto con il nome islamico della giovane. Manca, però, il nullaosta. E, così, dopo aver trascorso quasi dieci mesi in una cella del carcere di Omdurman – dove, il 27 maggio, ha partorito la piccola Maya –, la giovane è costretta ad aspettare ancora. Meriam, però, è apparsa forte. In una breve intervista, fatta dalla Bbc all’entrata dell’ambasciata Usa, la donna è apparsa ferma e serena, nonostante la stanchezza. Meriam ha voluto ringraziare «tutti i sudanesi e la polizia sudanese. E grazie a coloro che sono rimasti al mio fianco».
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