sabato 22 dicembre 2018
Gli alleati degli Stati Uniti sono preoccupati: il generale era considerato una figura di riferimento, capace di frenare un presidente capriccioso
Trump, tra il 2004 e il 2012 ha condotto per Nbc 14 stagioni di «The Apprentice». Il licenziamento degli “apprendisti imprenditori” finiva sempre con la celebre frase «You’re fired»

Trump, tra il 2004 e il 2012 ha condotto per Nbc 14 stagioni di «The Apprentice». Il licenziamento degli “apprendisti imprenditori” finiva sempre con la celebre frase «You’re fired»

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All’inizio di quest’anno Donald Trump diede ordine ai militari americani di assassinare il presidente siriano Bashar Assad – una mossa potenzialmente esplosiva in una regione infuocata dove si incrociano gli interessi delle principali potenze del mondo. Il capo del Pentagono, Jim Mattis, l’ignorò completamente. Un gesto di alto tradimento, a ben vedere, compiuto nell’interesse nazionale e nella consapevolezza, come molti analisti ripetono in queste ore, di essere “l’ultimo adulto” rimasto in un’Amministrazione Usa alla mercé di un presidente capriccioso.

Sono episodi come questo, narrato dal premio Pulitzer Bob Woodward nel suo ultimo libro, che preoccupano gli osservatori della politica degli Stati Uniti e soprattutto i loro alleati, ora che Mattis ha deciso di lasciare l’incarico – ultimo in un gruppo di quattro responsabili della sicurezza Usa che per gli ultimi 700 giorni hanno corretto le tendenze più pericolose del capo della Casa Bianca.

In base a questo punto di vista Mattis, insieme al consigliere per la sicurezza nazionale HR McMaster, al capo dello staff John Kelly e al segretario di Stato Rex Tillerson, sono stati un contrappeso vitale a una nave incline a barcollare in modi imprevedibili sotto le mani di un timoniere che alcuni di loro, in privato, non hanno esitato a definire “instabile”. Ora tutti e quattro sono stati licenziati o spinti alle dimissioni da Trump, insieme a 35, un numero agghiacciante, di alti funzionari, al ritmo di uno ogni 21 giorni. Non a caso il generale nella sua lettera di addio definisce il proprio stile di comando «risoluto e inequivocabile», in contrasto implicito con l’approccio erratico e impetuoso di Trump.

Mattis era il ministro dell’Amministrazione Trump a godere della fiducia incondizionata degli alleati più stretti dell’America. Il capo del Pentagono ne appare consapevole quando scrive, sempre nella sua missiva, che la sua partenza probabilmente altererà il corso della politica estera Usa più di ogni altra. I decenni di servizio militare e la sua coerenza hanno, infatti, negli ultimi due anni, rassicurato i Paesi occidentali scoraggiati dalla tendenza di Trump a lasciarsi attirare e persuadere da “uomini forti”, come Vladimir Putin o il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, a scapito di partner tradizionali in Canada e Gran Bretagna.

Ma, nonostante questa paura, Mattis non poteva più rimanere perché la sua visione del mondo era diventata inconciliabile con l’approccio di “America First” di Trump, che in ambito militare sembra coniugarsi in un isolazionismo di base, che crea enormi vuoti in regioni chiave come il Medio Oriente, ma anche in un esercito forte da poter scagliare a piacimento in modo imprevedibile, senza preoccuparsi delle conseguenze degli interventi.

Se dunque la rottura fra Mattis e Trump è avvenuta sulla decisione di ritirare le truppe Usa dalla Siria e dimezzarle in Afghanistan, è chiaro che era in gioco una visione dell’impegno Usa in Medio Oriente come un modo di tenere a bada la prepotente pressione di altri attori internazionali, che Mattis vedeva come ben più pericolosi di Assad.

«La Cina e la Russia vogliono plasmare un mondo coerente con il loro modello autoritario, ottenendo il diritto di veto sugli interessi economici, diplomatici e di sicurezza di altre nazioni, a partire da quelle più deboli e dalla situazioni instabili e di conflitto», ha scritto Mattis.

La partenza del generale renderà difficile per Trump reclutare personaggi di alto peso morale e professionale per la sua Amministrazione, sempre più impantanata in indagini e scandali (nessuno dei quali ha mai sfiorato il Pentagono). Ancor meno qualcuno che, come Mattis, si è sempre rifiutato di elogiare il Commander in chief.

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