sabato 27 ottobre 2018
L'uso ricreativo è vietato ma le imprese premono. E si preparano già al grande business della legalizzazione. Riuniti in una convention discutono la strategia. «Non possiamo perdere quei ricavi»
L’ingresso della convention che si chiude oggi in un albergo del centro di New York

L’ingresso della convention che si chiude oggi in un albergo del centro di New York

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Rivestimenti per proteggere muri e soffitti dall’umidità delle piante. Pesticidi. Bilance ultrasensibili. Un collutorio per eliminare odori compromettenti dalla bocca. Uno spray per una «distribuzione graduale» del prodotto. E una bibita a base di canapa… per ora. A passeggiare fra gli stand del primo salone sulla cannabis di New York – rigorosamente chiuso al pubblico – non si direbbe che nell’Empire State la vendita della marijuana sia legale solo per scopi medicali. La gamma di prodotti esposti, i titoli delle conferenze previsti per il fine settimana («L’opportunità della cannabis commestibile», «La corsa all’oro verde, come finanziarla?») confermano la prima impressione che si ha entrando nello spazio conferenze del Fairfield Inn: gli operatori del settore hanno già cominciato a sgomitare per accaparrarsi un posto in prima fila in vista della legalizzazione della droga per scopi ricreativi. Per tutti gli espositori, infatti, è solo una questione di tempo. «Se ne parla molto, non c’è dubbio – spiega Adam Birman, Ceo di MedMen, un dispensario di marijuana medicale che ha aperto negozi per la vendita al dettaglio negli Stati dove fumare uno spinello non viola la legge –. Ora che il Canada ha legalizzato, la spinta è ancora più forte. Conosco molti lobbisti che stanno lavorando sull’Assemblea statale newyorkese, a Albany. È un momento molto eccitante». La MedMen crede tanto nella prossima “normalizzazione” del consumo della cannabis da aver aperto un lussuoso e carissimo negozio sulla Quinta avenue di Manhattan, a fianco delle boutique più esclusive, dove vende vaporizzatori e gel ai medici, e dove, soprattutto, cerca di informare tutti i passanti curiosi sul “potenziale” del mercato. Che, stando alle cifre diffuse al salone, è da capogiro.

Giro d'affari miliardario

Già oggi che solo otto Stati americani consentono il consumo della cannabis per piacere personale, gli Stati Uniti sono l’epicentro del mercato mondiale. Nel 2017 il commercio di marijuana legale globale è cresciuto di oltre un terzo, raggiungendo i 9,5 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti ne rappresentano il 90 per cento. E si stima che entro il 2022 i ricavi legali della cannabis negli Stati Uniti supereranno i 23 miliardi, grazie alla spinta dell’uso ricreativo. Gli operatori danno ormai per certo che almeno sei Stati legalizzeranno la marijuana nei prossimi quattro anni. Fra questi, Arizona, Connecticut, Rhode Island e Vermont. New York potrebbe seguire a ruota, stando a Diane Savino, senatrice dello Stato che ha presentato una misura per la legalizzazione. «Dobbiamo darci una mossa – spiega ad <+CORSIVOA>Avvenire <+TONDOA>– altrimenti i newyorkesi andranno a fare i loro acquisti in New Jersey o in Massachusetts. E non possiamo permetterci di perdere quei ricavi, sia per il settore industriale che per l’erario». La senatrice non è preoccupata dei potenziali rischi per la salute o per la sicurezza automobilistica, o dei possibili abusi della droga, una volta che sarà legalizzata. «Ci sarà da fare molta informazione», si limita a dire. Ma degli effetti e dei pericoli della marijuana al salone non si parla. Le parole d’ordine sono strategie, normalizzazione, espansione, posizionamento e, soprattutto, investimenti. Da anni, milioni di dollari confluiscono sia nelle società coltivatrici sia in quelle che trasformano e distribuiscono il prodotto. E ieri era chiaro che i soldi sono arrivati anche alle aziende incaricate della confezione di pacchetti e e della stampa di etichette. E persino alle agenzie di pubblicità e alle assicurazioni che per ora offrono i loro servizi al Canada. Quest’ultimo, dal 17 ottobre, è visto come un esperimento, molto in piccolo, di quello che potrebbe accadere negli Usa.

Società quotate in borsa

I mercati azionari stanno già rispondendo. Nel febbraio scorso si è quotata al Nasdaq la prima società impegnata nella coltivazione della marijuana, la canadese LP Cronos. E ben 23 aziende Usa del “settore” si sono già quotate alla Borsa di Toronto. Il fatto che il governo federale Usa consideri la produzione e la distribuzione della cannabis un reato o che il mercato nero continui ad assorbire il 60 per cento del consumo ricreativo, vengono liquidati come dettagli trascurabili dagli operatori. «Togliere la vergogna, rendere il consumo parte del quotidiano: è quello che stiamo facendo e che continueremo a fare», conclude il Ceo Birman.


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