martedì 4 aprile 2017
Secondo l’analista congolese, «sullo sfondo degli scontri resta la questione del controllo della terra, che vuol dire ricchezza»
L'analista congolese Ekutsu Mambulu

L'analista congolese Ekutsu Mambulu

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«L’opposizione è fortemente indebolita, in più Joseph Kabila, in quanto presidente, gestisce tutto l’apparato della sicurezza. La questione è come cercherà di controllare la macchina delle elezioni e se riuscirà a candidarsi di nuovo pur non avendone la legittimità. Temo che da qui a un anno sarà ancora al potere». Ekutsu Mambulu, analista congolese da diversi anni in Italia, fondatore dell’African summer school, un corso di business con un focus specifico sugli Stati africani, ha una visione molto critica della classe dirigente del suo Paese.

Crede che qualcuno dovrebbe intervenire dall’esterno?
Si potrebbe internazionalizzare la crisi, ma sempre con i congolesi protagonisti attorno a un tavolo. L’importante è che eventuali colloqui vengano gestiti da chi ha a cuore l’interesse dei civili. La Chiesa ha un ruolo molto importante, ha ancora la leadership necessaria a guidare l’anima del popolo congolese. Una leadership che sembra non avere invece più l’Onu, dopo i tanti massacri addebitati ai caschi blu.

I Paesi vicini che posizione hanno assunto?
I capi di Stato dei Paesi confinanti, ma anche il Sudafrica, potenza regionale, non vogliono che Kabila lasci il potere, perché la sua presenza fa comodo. Un esempio su tutti: lo scorso ottobre, ad appena due mesi dalla scadenza del suo mandato, Kabila si è recato in Tanzania per firmare contratti di altis- simo livello su importanti questioni doganali, accontentando il nuovo presidente tanzaniano. A livello africano, insomma, nessuno vuole allontanare Kabila, che è stato abile a rivitalizzare il settore minerario e a fare l’interesse di tutti, tranne della sua popolazione.

Perché è saltato l’accordo con l’opposizione?
Il mandato di Kabila si è concluso lo scorso 19 dicembre e sulla base dell’accordo sarebbe dovuto restare in carica fino alla fine del 2017 e poi farsi da parte. Il periodo di transizione avrebbe dovuto essere organizzato con un’equa divisione del potere, ma l’intesa è saltata quando si è passati a discutere del meccanismo di elezione del premier. Quest’ultimo avrebbe dovuto essere scelto dall’opposizione e la nomina ratificata poi da Kabila. Il presidente, però, ha preteso che l’opposizione gli sottoponesse una rosa di tre nomi all’interno della quale sarebbe stato lui a scegliere.

Ora cosa accadrà?
Kabila ha annunciato che si sarebbe rivolto al Paese con un discorso pronunciato davanti ai parlamentari, il cui mandato è già scaduto. Sullo sfondo resta il fatto che non ce l’ha fatta a cambiare la Costituzione per poter correre per un nuovo mandato.

Gruppi ribelli spuntano con sempre maggiore frequenza...
Negli anni sono state molte le formazioni che hanno provato a sollevarsi. Di fronte a uno Stato inesistente sono nate resistenze dal basso. Ricordiamo quanto accade a Beni, nella regione nord-orientale del Nord Kivu, dove si uccide da anni; poi a Bakongo, nella regione del Congo centrale,una resistenza nata su base spirituale e culturale, i cui protagonisti sono stati massacrati da Kabila così come un attivista per i diritti umani, Floribert Chebeya, ucciso nel 2010 per le sue indagini. Ora c’è la ribellione nel Kasai con il gruppo Kamwina Nsapu, che rivendica terra e diritti sociali con una lotta violenta. Kabila risponde sempre con repressioni brutali. Ha ucciso il capo dei ribelli, poi ha iniziato la caccia all’uomo. Sullo sfondo resta sempre la questione della terra, che vuol dire ricchezza: non è un caso se non si organizzino mai elezioni locali. Perché è lì, sulla terra, che risiede il vero potere. E chiunque si frappone o indaga viene ucciso, come successo di recente anche a due esperti dell’Onu.

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