mercoledì 12 settembre 2012
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​Miguel Angel Devesa, spagnolo sulla quarantina, è seduto in un affollato bar della capitale maliana, Bamako. Ride e scherza con gli amici pensando agli ultimi mesi passati in prigione perché sospettato di essere il cervello di un’operazione andata male. Il 2 novembre 2009, infatti, un aereo che trasportava 10 tonnellate di droga è stato trovato bruciato su una rudimentale pista d’atterraggio costruita nel villaggio di Tarkint, 200 chilometri a nord di Gao, capoluogo dell’omonima regione nel nord del Mali. «Miguel, però, è solo la punta di un grandissimo iceberg», conferma Serge Daniel, giornalista freelance francese originario del Benin: «Questo aereo trasportava cocaina per un valore di circa 300 milioni di euro. Per fare un paragone – spiega Daniel – la stessa cifra che il governo francese ha speso per le sue operazioni durante la guerra in Libia per scalzare Gheddafi».Secondo le più recenti ricostruzioni, l’aereo, un Boeing 727, proveniva dal Venezuela, era stato immatricolato in Arabia Saudita, ma era in possesso di una licenza della Guinea Bissau. Dopo essere atterrato nel deserto maliano, diverse camionette 4x4 che attendevano sulla pista, hanno caricato velocemente la merce e sono ripartite verso Nord. Ma i piloti, questa volta, forse non avevano fatto i calcoli giusti: l’aereo non aveva più carburante per decollare. È così che i tre individui che trasportavano la droga – due venezuelani e un nigeriano secondo alcune fonti – hanno deciso di usare la benzina rimanente per bruciare l’intero Boeing 727, cancellando ogni traccia di droga all’interno del velivolo. «E mi avevano confermato che il giorno dopo era in arrivo un altro aereo sulla stessa pista – continua Daniel, l’unico giornalista ad aver visitato il luogo dell’incidente –. Ma le autorità maliane erano ancora in zona, costringendo il secondo velivolo a cambiare la destinazione».È praticamente impossibile rendersi conto dell’entità del traffico di droga che passa per il nord del Mali. Il caso dell’aereo venezuelano è per ora l’unico ad essere stato pubblicamente indagato perché i trafficanti hanno commesso un errore. In seguito a questa vicenda, il procuratore maliano per l’anti-corruzione, Sombe Therà, ha arrestato Devesa, un francese (liberato qualche giorno prima dello spagnolo) e un maliano ancora in prigione.«Il traffico della droga che dall’America Latina va verso l’Europa è iniziato a passare per il Mali verso la metà degli anni Settanta», spiega Salem Ould Elhaj, professore di storia originario di Timbuctu e costretto a rifugiarsi a Bamako dopo l’esplosione delle recenti ribellioni nel Nord. Ma in questi mesi è cresciuto ulteriormente, dopo che i ribelli qaedisti hanno preso il controllo della regione. «È un traffico enorme – continua – in cui tutti sono coinvolti: politici, militari, uomini d’affari e semplici cittadini, sia del Mali che occidentali».Gli aerei che partono soprattutto da Colombia, Venezuela e Brasile, arrivano sulle coste di Paesi come Senegal, Guinea Bissau, Guinea (Conakry) e Sierra Leone. La droga prosegue quindi in aereo (più raramente via terra) verso il nord del Mali. Arrivati sopra la regione di Gao, Timbuctu e Kidal, i piloti si mettono in comunicazione con i trafficanti annunciando l’orario e il luogo dell’atterraggio. Poi tocca alle jeep 4x4 caricare il tutto e ripartire ad alta velocità verso il Nord, passando per l’Algeria e lasciando la droga sulle coste del Marocco, alle porte dell’Europa, dove italiani e spagnoli gestiscono l’ultima fase del traffico. «Gli autisti delle 4x4 di solito sono tuareg o appartenenti alle minoranze arabe del Mali – precisa il professore, il quale afferma di aver visto diversi suoi ex allievi diventare trafficanti e arricchirsi nel giro di pochi mesi –. Il Nord è pieno di piste d’atterraggio artificiali o naturali. Le persone al volante sono pagate 20mila euro per ogni viaggio e conoscono il Sahara meglio di quanto portoghesi e spagnoli conoscevano il mare». Ora, però, lo stesso territorio è in preda al fondamentalismo islamico. I militanti controllano tutti i traffici, imponendo delle tasse e provvedendo alla sicurezza lungo il tragitto. Gli integralisti di Ansar Dine occupano la regione di Timbuctu, al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) quella di Kidal e il Movimento per l’unicità la jihad nell’Africa occidentale (Mujao) quella di Gao. «I traffici nel nord del Mali – conclude Elhaj – sono infatti ormai la principale ragione dell’attuale crisi che sta devastando il mio Paese».
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