mercoledì 14 ottobre 2020
Il gesuita 83enne, noto per le sue attività sociali e l’attivismo a difesa degli Adivasi (aborigeni), è sospettato di «complicità» con i maoisti
Padre Stan Swamy

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Crescono l’indignazione e le reazioni all’arresto, avvenuto giovedì scorso, dell’83enne gesuita indiano padre Stan Swamy. Il provvedimento è scattato per una presunta cooperazione con l’opposizione maoista nello Stato dello Jharkhand dove il sacerdote risiede e dove è noto per le sue attività sociali e l’attivismo a difesa degli Adivasi (aborigeni).

Gli investigatori lo hanno prelevato nottetempo dalla sua abitazione nella città di Ranchi e lo hanno portato a Mumbai, dove è previsto che resti in custodia giudiziaria fino al 23 ottobre. Il primo ministro dello Jharkhand, Hemant Soren, ha sollevato dubbi sulla legittimità del provvedimento. «Che messaggio vuole mandare il Bjp (Bharatiya Janata Party, al governo del Paese e in diversi Stati e Territori) arrestando un sacerdote di questa età? Lui ha solo fatto sentire la sua voce a favore degli oppressi, dei poveri e dei tribali. Perché tanta ostinazione?», ha chiesto Soren. L’azione delle autorità verso l’anziano gesuita sembra infatti avere contorni persecutori. Swamy era stato arrestato dopo che la polizia aveva accolto l’8 gennaio scorso una denuncia che riguardava la sua partecipazione a un evento che sarebbe stato organizzato dai maoisti, attivi in un confronto continuo e spesso cruento con le forze di sicurezza.

Alle accuse – ultima quella di avere ricevuto soldi destinati dalle attività del fuorilegge Partito comunista dell’India- Maoista –, il gesuita si sempre è opposto, ricevendo un sostegno sempre più intenso, a partire dalla Chiesa locale, critica anche sulle modalità dell’arresto. «Ci saremmo aspettati che chi conduce le indagini avrebbe compreso il rischio di un’azione in piena notte, soprattutto davanti alle richieste di considerare la sua età e le sue cattive condizioni di salute», ha dichiarato il vescovo ausiliare di Ranchi, monsignor Theodore Mascarenhas, che ha confermato «la fiducia e la fede » della comunità cattolica «nella Costituzione dell’India e nelle nostre istituzioni giudiziarie».

L’impegno di padre Stan Swamy è stato ricordato anche dal segretario generale della Conferenza episcopale dell’India, l’arcivescovo Felix Machado in una dichiarazione successiva all’arresto: «Per decenni padre Stan è stato attivo nella difesa degli Adivasi, soprattutto per il loro diritto alla terra. Questo lo ha probabilmente messo in contrasto con gli interessi di certi individui. Noi chiediamo con forza che i diritti, doveri e privilegi di tutti i cittadini siano adeguatamente tutelari e che la pace e l’armonia prevalgano su tutto».

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