venerdì 15 dicembre 2017
Sara è una delle donne che lavora al recupero dei vestiti alla Boutique sociale: un progetto della Fundacion Promocion Social - Focsiv per far ritrovare una buona vita sociale a chi vive nel disagio
A Beirut una sartoria per ricucire le esistenze delle donne profughe
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Nel vecchio palazzo a Sad el-Baouchriyé, nord di Beirut, anche Sara, 64 anni, sposta lenta gli scatoloni pieni di vestiti. Con lei altre compagne di lavoro organizzano quello che alla Boutique sociale di Arc en ciel, la più importante Ong libanese, chiamano «triage». È il primo stadio del recupero dei vestiti. È uno dei primi passi per recuperare a una buona vita sociale chi vive nel disagio. «Prima avevo cercato di lavorare altrove, ma nessuno accetta di dare un impiego a una donna della mia età», spiega quasi sorridente Sara Daniel Marcos, 5 figli. E' fuggita da al-Qosh nell'agosto 2014. Anche lei, come le altre irachene, scappata dalla Piana di Ninive.

«Sono rimasta come profuga a Duhok per quasi un anno, ma non c’era la possibilità di vivere per noi». Così anche lei è giunta a Beirut, come uno "scalo" in attesa di un visto per l’Australia dove nel 1991 – dopo la prima guerra del Golfo – sono fuggiti dei suoi parenti. L’aspetto sereno potrebbe ingannare: diabete e un problema alle vie urinarie che richiederebbe un intervento dal costo, per la sanità libanese, di 4mila dollari. Il marito è disoccupato e un figlio fa il portinaio in uno stabile: «Gli danno vitto e una camera, ma non lo pagano».

«Assieme ad altre 8 donne irachene che come me frequentano la chiesa di Nostra Signora del perpetuo soccorso, mi sono presentata alla Boutique sociale. Sono sarta, ma per i miei problemi di schiena mi hanno assegnato allo smistamento dei vestiti così non devo stare seduta troppo a lungo». Gli abiti, raccolti in cassonetti posti a Beirut, vengono separati: quelli in buono stato, quelli da riparare e quelli da cui si possono ricavare degli stracci. I capi migliori - dopo essere stati lavati e sterilizzati – vengono essi in vendita al prezzo simbolico di mille lire libanesi (meno di un dollaro), anche se sull’etichetta viene indicato il prezzo reale. «Un modo per responsabilizzare chi compra», spiega Lara Antun, la responsabile della boutique sociale allestita un anno fa in quello che era un vecchio dispensario. È il progetto pilota che Fundacion Promocion Social - socio Focsiv - supervisiona: altre due boutique, grazie a un finanziamento dell’Ocha (l'agenzia umanitaria dell'Onu), sono attive nella valle della Bekaa e a Nord del Libano. L’obiettivo è di rendere il progetto autonomo dal punto di vista economico nel giro di sette anni.

Al piano di sopra, un gruppo di sarte, lavora le stoffe più pregiate: campionari di tessuti, divise dismesse delle scuole, fodere di cuscini vengono riutilizzati per creare capi di maggior pregio. Un vero atelier, con l’intento di moltiplicare i punti di vendita con una politica di marketing mirata: esposizioni nelle ambasciate, teatri, eventi culturali.

Nella boutique di Sad el-Baouchriyé sono impiegate 18 persone: oltre ai profughi nello staff ci sono pure alcuni portatori di handicap. L’obiettivo di Fundacion Promocion Social è di arrivare in 7 anni alla completa autonomia economica del progetto. A quella data Sara spera di essere in Australia. Intanto con 400 dollari al mese, le medicine che riceve in un dispensario e il pacco di viveri di un’altra organizzazione riesce a sopravvivere con il marito. «Prima nessuno mi dava un lavoro: qui ho trovato un posto dove stare. E fare delle amicizie», spiega prima di tornate a mettere in pila gli scatoloni. La prima colonna a destra è quella dei vestiti per bambini da mettere in vendita questa estate.

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