giovedì 27 dicembre 2012
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​Un’ansia pesante mi ha preso, leggendo ancora una volta il nome di questa donna, imprigionata da anni, privata della libertà e dell’affetto della sua famiglia (ha cinque bambini, ricordo con un brivido), sola, in balia di un’ottusa burocrazia e di quell’odio anticristiano che anno dopo anno vediamo ingigantire: e questo non solo in Pakistan, il suo Paese, con la terribile legge sulla blasfemia, ma anche in tanti altri luoghi.È un astratto furore che si nutre, in Occidente, di un’aridità malata, ossessiva e di molti pretesti; ma tutto diventa concreto, e terribilmente minaccioso, di fronte al destino di questa donna dal nome semplice ed evocativo (Asia, come il continente dove vive; Bibi, come un sereno soprannome infantile), e alla sua parola di fede e di coraggiosa testimonianza.Vorremmo aprire quelle porte sbarrate, vorremmo sollevarla e portarla dai suoi, vederli sorridere insieme; ma almeno possiamo unirci a quelli che inondano di appelli il Presidente del Pakistan e a quelli che pregano per lei.
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