giovedì 24 dicembre 2020
Il patriarca Sako: "Cristiani e musulmani: uniamo le forze come una squadra per superare la crisi"
Tampone per il Covid in una scuola di Baghdad: anche la capitale irachena è segnata, come gli altri grandi centri, dalla pandemia

Tampone per il Covid in una scuola di Baghdad: anche la capitale irachena è segnata, come gli altri grandi centri, dalla pandemia - Reuters

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«La visita di papa Francesco è un segno di speranza per questa nostra gente che ha sofferto molto. È la prima all’estero nel tempo del Covid, un modo di dire quanto pensa a noi cristiani iracheni: lo accogliamo già ora pensando a quei giorni che saranno pieni di benedizione, pace e gioia», esulta monsignor Natanaele Nizar Semaan, vescovo sirocattolico del Kurdistan.

Due decenni di attesa in cui l’Iraq, prima del Covid, ha vissuto l’embargo internazionale, la seconda guerra del Golfo e l’invasione statunitense, la guerra al terrorismo nelle incertezze del dopo Saddam Hussein, e da ultimo l’insediamento del Daesh a Mosul con la fuga forzata di oltre un milione di profughi, fra cui i 150mila cristiani dei villaggi nella Piana di Ninive. Per questo solo l’annuncio della visita di Jorge Bergoglio è come un 'vaccino di speranza' per tutto l’Iraq che supera ogni appartenenza etnica religiosa.

«Cristiani e musulmani dovrebbero lasciare da parte le loro differenze, amarsi e servirsi l’un l’altro come membri della famiglia umana. Uniamo le forze e agiamo come una squadra per cambiare la nostra situazione e superare le crisi dando la priorità alla nostra patria, nel rispetto reciproco che consolida i valori della convivenza», è stato l’appello di Natale del cardinale Louis Raphael Sako, il patriarca caldeo di Baghdad. Da oggi, per due settimane, in tutto l’Iraq ci sarà un coprifuoco per arginare un contagio che sinora – secondo la Johns Hopkins University – ha fatto registrare oltre 506mila casi e poco più di 12.700 vittime ma in un Paese dove le capacità diagnostiche sono scarse. Di fatto, riferiscono fonti locali, si fa ricoverare solo chi ha sintomi molto gravi mentre i tamponi e cure specialistiche sono quasi completamente svolte dalla sanità privata accessibile solo alla minoranza benestante. Questo mentre l’Iraq, dopo la crisi di governo che ha portato a un esecutivo di solidarietà nazionale, prepara le elezioni di giugno: lo scorso novembre, dopo i “12 mesi di manifestazione” contro la corruzione a piazza Tahrir – costati 600 vittime e 25mila feriti – le tende sono state smantellate dal centro di Baghdad. E da pochi giorni, il Paese ha subito una svalutazione del dinaro di circa il 20% rispetto al dollaro: un modo con cui il governo cerca di fare cassa per pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici. Una decisione che ha subito fatto schizzare le quotazioni dell’oro e ha già ricadute sui prezzi dei beni di prima necessità.

Per questo il Natale, per la prima volta riconosciuto con un voto del Parlamento festa nazionale, ha un significato particolare: «Vedo una grande attesa e una gioia particolare negli occhi sotto le mascherine», confida monsignor Semaan, il “vescovo dei profughi” rimasti in Kurdistan dopo la fuga del 2014, lui stesso risultato positivo al Covid questa estate. Riaperte le chiese a fine giugno, le Messe in presenza sono riprese da agosto garantendo il distanziamento fisico: «Abbiamo molto insistito sulle norme di sicurezza, a partire dalla mascherina», prosegue monsignor Semaan. Intanto le scuole sono aperte per lezioni in presenza un giorno alla settimana, con il ricorso rapsodico alla didattica a distanza. Tuttavia, con i contagi in calo rispetto a questa estate, a Erbil il traffico appare caotico come sempre e poche persone indossano la mascherina.

La speranza di uscire dal Covid coincide anche con l’uscita dall’Iraq dallo stallo politico. «La voce del Papa servirà a rinforzare la voce di chi ha dato la vita per far uscire il Paese dalla corruzione e far uscire il Paese da questo incubo iraniano», afferma padre Jalal Yako, originario di Qaraqosh. Domenica, poco prima del’appello alla fratellanza del patriarca Sako, il capo della sicurezza dell’esercito iracheno – un vero eroe di guerra dopo aver liberato Mosul dal Daesh – ha fatto visita al vescovo Efrem Yusef Abba alla chiesa di Nostra Signora del perpetuo soccorso, a dieci anni dalla strage di Ognissanti che fece 53 vittime fra i fedeli cristiani. Un gesto di riconciliazione sociale con l’impegno delle autorità a fare il massimo per dare al mondo la migliore immagine possibile durante la visita di Francesco. Un Natale per coltivare la speranza concreta dei cristiani di uscire da un doppio lockdown: quello del Covid e quello provocato dall’essere una minoranza confinata ormai in poche aree del Paese.

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