venerdì 4 giugno 2021
L'epidemiologo, scrive il Financial Times, chiede alla Cina di mostrare nove cartelle mediche che possono connettere l'origine del virus con il laboratorio biologico di massima sicurezza di Wuhan
Fauci chiede alla Cina le cartelle cliniche dei ricercatori di Wuhan
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Anthony Stephen Fauci, epidemiolgo di punta degli Stati Uniti d'America, al vertice della task-force Usa sul Covid-19, uomo di fiducia presidenziale nella gestione della pandemia, come riporta il Financial Times, ha chiesto alla Cina le cartelle cliniche di nove persone che potrebbero associare la nascita del virus all'ormai famoso istituto di virologia di Wuhan. «Vorrei vedere le cartelle cliniche delle persone che si sono ammalate. Erano davvero malate e, in tal caso, di cosa?». I dati clinici di cui parla Fauci riguardano tre ricercatori del laboratorio, ammalatisi nel novembre 2019, e sei minatori – di cui tre deceduti - che avevano accusato gravi sintomi influenzali dopo aver visitato una caverna di pipistrelli nel 2012, nella provincia cinese dello Yunnan. Nella stessa grotta, che secondo le ipotesi potrebbe aver funto come una sorta di incubatrice, gli scienziati del Wuhan Institute of Virology hanno poi prelevato dei campioni del virus da alcuni chirotteri.

Il virologo, a capo del National Institute of Allergy and Infectious Diseases si è sempre, l'ultima volta proprio ieri in un'intervista alla CNN, dimostrato convinto sostenitore dell'origine naturale del virus, e ha comunque sottolineato che, anche nel caso si confermasse il contagio dei tre ricercatori del laboratorio di Wuhan, questi avrebbero comunque potuto contrarre il Covid-19 dalla popolazione. Tuttavia ultimamente la teoria dello spillover (cioè del salto del virus da una specie all'altra fino ad arrivare all'uomo) sta ancora vacillando, specialmente negli ambienti intelligence USA, che stanno esaminando il report dei ricercatori dell'istituto di virologia cinese per far luce sui casi dei tre ricercatori della struttura.

La Cina respinge categoricamente le richieste di rilasciare le cartelle dei tre ricercatori. È proprio questa reticenza, secondo i servizi segreti americani, ad alimentare la "teoria del laboratorio", per cui l'agente patogeno sarebbe fuoriuscito per errore dall'istituto di Wuhan. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin, ha rispolverato una dichiarazione rilasciata dal responsabile del laboratorio di Wuhan, Shi Zhengli, il 23 marzo nella quale affermava che, prima del 30 dicembre 2019, data dell'allarme dell'Oms sulla presenza di un nuovo coronavirus, «l'istituto di Wuhan non era stato esposto, e non c'erano stati casi di infezione tra personale e studenti». Il portavoce ha poi ricordato le indagini compiute all'inizio del 2021 da esperti cinesi e dell'Organizzazione mondiale della sanità, secondo cui, dopo «discussioni approfondite e schiette», l'ipotesi di un incidente di laboratorio è da considerarsi «estremamente improbabile». Infine Wenbin ha rincarato la dose, invitando gli Stati Uniti a «dare una spiegazione sui loro più di duecento bio-laboratori in tutto il mondo, incluso quello di Fort Detrick», che è da tempo al centro delle speculazioni cinesi sull'origine del virus.

In questo modo la questione prende delle inevitabile tinte politiche, alimentando uno scontro già ampiamente avanzato sul piano economico-commerciale. Se da un lato si poteva pensare fosse parte della propaganda trumpiana anti-cinese, ora c'è la conferma che anche con l'amministrazione Biden, la diatriba attorno all'origine del virus Sars-Cov-2 non tende a placarsi. L'aggiunta della dimensione biologica alle tensioni geopolitiche in atto era già stato, prima dello scoppio della pandemia, un motivo di allerta internazionale. La Cina per competere con le maggiori potenze mondiali ha puntato sullo sviluppo del suo primo laboratorio batteriologico di massima sicurezza (Bio-Safety Level 4), destando alcune perplessità circa le sue capacità di gestione di una struttura così complessa all'interno della comunità scientifica, come riportato in questo articolo della rivista Nature. Lo scoppio della pandemia ha inevitabilmente fatto puntare i fari su questo laboratorio, dove si studiano i patogeni più pericolosi al mondo, innestandosi pericolosamente in un braccio di ferro tra le due maggiori superpotenze mondiali.

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