domenica 2 febbraio 2020
Nonostante i rinforzi e senza mezzi adeguati, il personale combatte quotidianamente una guerra contro il coronavirus: «Troppi pazienti, non ce la facciamo». E si contano i caduti
La vita in trincea dei medici di Wuhan. «Turni di 24 ore»

Ansa

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«Sappiamo che la tuta che indossiamo potrebbe essere l’ultima e non possiamo permetterci alcuno spreco», postava nei giorni scorsi su Weibo, il Twitter cinese, un dottore del Union Hospital di Wuhan, metropoli dove sono stati registrati il 60 per cento dei contagi finora e il 95 per cento dei decessi. Segnale delle difficoltà che il personale medico in prima linea si trova ad affrontare, in una situazione sempre più grave, sia per il numero crescente di pazienti, sia per la scarsità di attrezzature. Sia, infine, per le possibilità di impiegare efficacemente personale ormai allo stremo.

Le immagini che escono dalle aree off-limits mostrano medici che letteralmente crollano a terra vinti dalla stanchezza. Una situazione che, associata alla pressione psicologica, ovviamente finisce per pesare sulla risposta alla crisi. Nonostante gli addetti alla sanità nella provincia di Hubei abbiano rinunciato alle vacanza per il Capodanno e ai permessi, e nonostante l’invio di almeno almeno 6mila i medici e paramedici da altre zone del Paese, la situazione sarebbe prossima al collasso. Il personale è impiegato a turni anche di 24 ore e oltre senza alcun riposo.

Un medico di un ospedale di Wuhan ha comunicato, sotto anonimato, di non tornare a casa da due settimane e che persino nel turno notturno si ritrova fino a 150 pazienti esterni da assistere, «tutti ansiosi, in molti casi disperati, dopo avere atteso per ore al freddo».

I rischi di contagio sono elevati per tutti, come conferma una terapista di Pechino, intervistata dal Washington Post, su una collega infettata a Wuhan da un paziente e che si è isolata in casa, «devastata » da quanto le è accaduto. Un altro medico, il 62enne Liang Wudong è deceduto il 25 gennaio per le conseguenze del contagio, mentre un collega di 51 anni, scomparso lo stesso giorno per un attacco cardiaco, non è stato riconosciuto tra le vittime del coronavirus.

Cresce anche il rischio di diventare bersaglio di frustrazione e rabbia, com’è successo mercoledì all’Ospedale numero Quattro di Wuhan a due medici aggrediti dai familiari di un individuo ricoverato per polmonite. Una situazione che coinvolge anche i reparti medici dell’esercito.

«Sono troppi i pazienti che avrebbero bisogno di trattamento, troppi test che bisognerebbe fare. Almeno, con le nostre squadre a Wuhan consentiamo ai nostri uomini di dormire per una o due ore», ha indicato una persona coinvolta nel controllo militare dell’ottantina di casi di infezione dal coronavirus in cura presso l’Ospedale Jinyintan di Wuhan, uno dei tre nosocomi della città delegati a affrontare il contagio insieme ai due d’emergenza in costruzione. L’emergenza chiama in causa il “sistema- Cina”, già messo alle strette dalle ammissioni di ritardi nel comunicare il contagio e nel reagire tempestivamente che, davanti alla crisi, manifesta ancor più la carenza di personale, sprechi e limiti di bilancio.

Così a Wuhan, metropoli prossima ai 12 milioni di abitanti, mancano attrezzature e soprattutto protezioni sufficienti. Se possibile, ancora peggiore la situazione nella vicina Huanggang, sette milioni e mezzo di abitanti, dove il personale degli ospedali per proteggersi è costretto in alcuni casi a coprirsi con mantelle impermeabili e a utilizzare sacchetti per l’immondizia sopra le calzature.

Un dottore impegnato nel Tongji Hospital, ha segnalato di dovere indossare la stessa tuta protettiva anche per 10 ore. Un risparmio necessario, perché, dice «occorrerebbe cambiarla ogni volta che usciamo da una zona infetta. Io indosso pannoloni per adulti e bevo il meno possibile per non dovermi recare in bagno, una situazione comune ad altri colleghi».

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