venerdì 26 agosto 2022
Sono venti le donne siriane che a Gaziantep hanno iniziato un corso di formazione: lavoro a maglia per rivendere guanti e cappelli E soprattutto la possibilità di uscire da solitudine ed emarginazione
Al lavoro insieme per battere povertà e solitudine

Al lavoro insieme per battere povertà e solitudine - Caritas

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«Vengo da un villaggio del Sud della Siria. Parte della mia famiglia ora vive in Libano in un campo profughi. Un’altra parte è morta in guerra, mentre pochi altri sono rimasti in Siria», spiega Aisha. La Turchia è stato l’approdo, non certo un porto sicuro: «Quando sono arrivata qui con mio marito – prosegue – non mi era rimasto nessun altro se non lui. I pochi parenti che abbiamo in Turchia sono stati ricollocati in altre regioni e non li posso raggiungere».

Essere immigrati in una terra di nessuno significa, specialmente per le donne relegate tradizionalmente a ruoli di cura e lavoro domestico, emarginazione e solitudine.

Nella sede di Caritas Turchia a Gaziantep, a meno di 50 chilometri dal confine siriano, te lo conferma anche Hasna: «Quando mio marito è morto, io e i miei figli siamo rimasti soli. A loro è rimasta la scuola e qualche amico. Ma io non avevo nessuno». Per questo un corso di formazione professionale è molto di più che una finestra affacciata sul mondo del lavoro: «Quando ho iniziato a frequentare il gruppo di donne del progetto della Caritas mi sono sentita accolta», prosegue Hasna.

Così varcare la soglia della sede di Caritas Turchia ha significato rompere quel muro invisibile fatto di isolamento e paura: «È vero che avrei potuto provare a parlare con qualche vicino o con la mamma di qualche bambino nella scuola dei miei figli. Ma non avevo una “buona scusa” per rimettermi in gioco». Inoltre, confida sempre Hasna, «la mia condizione economica non mi permetteva di invitare qualcuno a casa e questo mi faceva provare tanta vergogna».

In fondo sono tutte storie molti simili quelle delle donne – una ventina in tutto – che grazie al lavoro delle Caritas delle tre diocesi turche ha avviato un percorso di formazione cha ha anche il sostegno della campagna “La pace va oltre”. L’accesso al mercato del lavoro è una sfida per tutti i rifugiati impiegati nel mercato informale, in maniera irregolare e con basse competenze tecniche.

Trovare una qualsiasi occupazione è ancora più duro per le donne che oltre a barriere pratiche come la lingua, devono superare anche i numerosi pregiudizi e stereotipi culturali.

Su 3,7 milioni di profughi siriani, 1,7 milioni sono donne: in base a una recente indagine sociologica di Unwomen il 73% delle donne profughe non sa dove cercare assistenza in caso di violenze o molestie, il 74% non sa dove cercare assistenza per i propri figli, il 59% non conosce l’esistenza di servizi di supporto psicosociale e il 57% non conosce l’esistenza dei servizi di assistenza all’infanzia. Inoltre, solo il 15% delle donne lavora in attività generatrici di reddito.

È questo disagio che si vuole aiutare a superare, facendo leva in primo luogo sulla ricerca di un reddito che possa integrare le entrate familiari. Sono quattro donne a Sanliurfa, tredici di Gaziantep e tre di Hatay, particolarmente vulnerabili – sole con figli, o vedove, o anziane o affette da qualche forma di disabilità – che si trovano in tre gruppi di lavoro: il primo mese per imparare le basi tecniche del lavoro a maglia, il secondo mese è iniziata la produzione vera e propria.

Ogni donna lavora a casa e una volta a settimana si ritrovano insieme in un momento comune nel salotto delle tre coordinatrici, una per città. Un'attività che cerca di integrare il reddito, ma anche e soprattutto di rafforzare l’autonomia e far nascere delle relazioni positive.

La Caritas ha fornito i ferri e la lana per avviare la “micro-impresa” e ha ricevuto in cambio l’equivalente in prodotti lavorati: guanti e berretti. A luglio sono stati confezionati e verranno distribuiti ai profughi appena arrivati nei mesi invernali nelle zone di montagna ai confini con l’Iran. Il resto dei prodotti potranno essere venduti al mercato locale: uno stimolo in più per frequentare i corsi di turco. E in autunno ci potrebbe essere un nuovo traguardo da tagliare: «Organizzare un evento comune in cui tutte le donne dei tre gruppi possano partecipare in contemporanea, incontrarsi e scambiare le proprie esperienze», conclude Giulia Longo, coordinatrice della Caritas Turchia a Gaziantep.

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