sabato 26 novembre 2022
I russi continuano a bombardare la città liberata dagli ucraini: 15 morti e più di 30 feriti
La gente ucraina cerca normalità, anche nei locali pubblici, durante i lunghissimi blackout

La gente ucraina cerca normalità, anche nei locali pubblici, durante i lunghissimi blackout - Reuters

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La piccola Dunkirk si chiama Kinburn, una lingua di sabbia e paludi dove i russi hanno tenuto il fianco scoperto, cadendo nel tranello di Kiev. La reazione è brutale, con continue rappresaglie sui civili in tutta la regione di Kherson, mentre il sistema elettrico nazionale è ripartito per metà e si spera che i missili non tornino per distruggere quel poco che ha ripreso a funzionare. Com’era accaduto sulle spiagge francesi di Dunkirk nel ‘40 contro l’avanzata nazista, gli incursori ucraini da una decina di giorni arrivano di notte, a bordo di barchette a motore spento, aiutati dai pescatori di fiume. Mosca lo ha capito troppo tardi. E mentre le prime linee ucraine si addentrano nella penisola di Kinburn, i battaglioni russi continuano a bombardare sui quartieri di Kherson: 15 morti e più di 30 feriti, molti dei quali rischiano di non farcela. La vendetta contro la città liberata ha fatto registrare 49 attacchi in un giorno, colpendo edifici residenziali, un cantiere navale, alcune aree scolastiche e le condotte del gas.

Colpi di mortaio sono stati diretti anche contro le cittadine di Zelenivka, Chornobaivka e Stepanivka, a pochi tornanti da villaggi che adesso risultano completamente disabitati. Anche Kozatske e Vesele non c’è più anima viva. Gli ultimi 64 residenti sono stati evacuati ieri. I pazienti degli ospedali di Kherson vengono trasferiti nella vicina Mykolaiv e a Odessa. Le amministrazioni filorusse lanciano analoghe accuse agli ucraini i cui colpi di mortaio secondo le fonti di occupazione hanno ucciso 6 persone a Novaya Kakhovka, la città che sorge vicino alla diga, dove le forze russe si sono rischierate, e altre 4 persone nel vicino villaggio di Korsunka. Milioni di ucraini restano al freddo, in attesa che la rete elettrica alimentata dalle centrali nucleari possa ripartire anche se a regime ridotto. Ovunque le autorità attraverso i canali ufficiali suggeriscono di prepararsi a ulteriori attacchi e di fare scorta di acqua, cibo e indumenti pesanti. Le quattro centrali nucleari ucraine sono state riallacciate alla rete elettrica, ha dichiarato l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), confermando che tutti gli impianti erano stati scollegati dalla rete elettrica mercoledì, per la prima volta nella storia dell’Ucraina, dopo l’ultima ondata di attacchi aerei russi.

La trappola di Kiev è scattata quando l’esercito ucraino sembrava cercare lo scontro frontale più a Nord, attirando gli occupanti attraverso la terraferma e le anse opposte del Dnepr, nella città di Kherson e nei pressi della diga di Kakhovka, controllata dai russi che proteggono l’unico accesso all’acqua dolce per la Crimea. La via ai combattenti viene aperta dalle piccole formazioni partigiane che sbarcano in silenzio trascinandosi zattere cariche di munizioni. Al loro seguito le squadre speciali che ieri hanno distrutto una postazione dell’artiglieria russa. L’ordine di Mosca sembra essere quello di tenere le posizioni.

Perché arretrare dall’argine del Dnepr vuol dire non avere gittata sufficiente per colpire le città e relegare la guerra nel Sud solo ai missili, ma senza recuperare terreno. Soprattutto «significa che potrebbero perdere il controllo dell’accesso alla Crimea», spiega il «comandante K», che fino a febbraio faceva l’imprenditore edile e da allora teme che sulla sua testa ci sia una taglia di Mosca, perché un tempo coi russi era in affari e nel ristorante Al «Mafia» di Mykolaiv si brindava al comune business del cemento. «Poi - racconta - hanno cominciato a dire che questa è Russia, e non Ucraina». Il bistrò adesso ha un innocuo nome francese, e il seguito della storia è nei bollettini di guerra.

Le piccole formazioni partigiane rientrano facendo rotta controcorrente verso le spiaggette nascoste dai canneti tra il fiume e il mare. Alle loro spalle la penisola contesa: Odessa è a dritta, la Crimea sulla rotta opposta. Un lembo strategico, non solo simbolico. Tre piccoli villaggi di pescatori ucraini sono prigionieri delle forze russe. Scacciarle vuol dire riprendere il controllo sull’istmo e tentare l’assalto all’esercito di Mosca, costringendolo ad arretrare verso la Crimea.

Con la sua forma a uncino Kinburn si trova a meno di quattro chilometri dal porto di Ochakiv, posizionato esattamente di fronte. Secondo stime della rivista Forbes, la Russia ha speso un quarto del suo intero bilancio annuale per i nove mesi di guerra: 82 miliardi di dollari (78,7 miliardi di euro). La stima include solo i costi diretti dell’operazione militare russa e non le spese per la difesa o le perdite economiche causate dalle sanzioni occidentali. Le entrate del bilancio russo lo scorso anno ammontavano a 340 miliardi di dollari. Il segretario della Nato Stoltenberg ha dichiarato che «non ci sarà una pace duratura in Ucraina se la Russia vincerà la guerra». E da Mosca Maria Zakharova, portavoce del ministro degli Esteri Lavrov, reagisce accusando l’Alleanza atlantica di essere «complice dei crimini del regime di Kiev». Dallo Stato Maggiore parlano pochissimo delle operazioni a Kinburn e anche a Ockachiv e Juzne, i due centri abitati da cui si vede a occhio nudo la penisola, i pochi reporter sul posto vengono tenuti alla larga dalla spiaggia. Un portavoce del “Comando Operativo Sud” ripete solo una frase: «L’operazione continua».

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