sabato 6 giugno 2020
Atteso un milione di persone. Ad infuocare gli animi, un nuovo video che mostra l’uccisione di un altro afroamericano. Anche lui, prima di morire, aveva detto di «non riuscire a respirare»
La lunga marcia contro il razzismo, Washington travolta dagli indignati

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Washington si è fatta pacificamente invadere, mentre nel resto degli Usa non accennano a diminuire le proteste per l’omicidio dell’afroamericano George Floyd per mano della polizia di Minneapolis. Le marce, che si stanno moltiplicando in tutta America e all’estero (a Sydney, nelle grandi capitali europee e in Italia a Milano e Torino), sono entrate ieri nella loro dodicesima giornata con l’obiettivo di far confluire un milione di persone su Washington attraverso la mobilitazione organica di varie organizzazioni, così da creare una chiara e potente immagine dell’indignazione, della rabbia e dello scontento.

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La morte di Floyd, soffocato il 25 maggio scorso per i nove minuti di pressione impostagli sul collo dal ginocchio dell’agente Derek Chauvin, è stata il punto di rottura che ha dato modo all’indignazione e alla rabbia per l’endemica discriminazione razziale Usa di uscire completamente allo scoperto. Ma è anche assunta a simbolo di molte altre vittime ignote della violenza della polizia. Proprio ieri è emerso un nuovo drammatico video che mostra l’aggressione, e la morte senza ragione di un afroamericano di 33 anni, lo scorso 3 marzo a Tacoma, nello Stato di Washington. Ripresa da una donna che si trovava direttamente dietro la pattuglia e che ha implorato varie volte gli agenti di smettere di picchiare Manuel Ellis – le cui ultime parole furono, come Floyd, «non riesco a respirare» – la registrazione smentisce la versione della polizia locale e conferma – come rivelato dall’autopsia – che si sia di fronte ad un omicidio.

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Le centinaia di migliaia di dimostranti che, attraverso un tam tam via social media, si sono attivati e giunti ieri nella capitale d’America – crescendo continuamente in numero durante la giornata, tanto che il capo della polizia di Washington, Peter Newsham, prevedeva diventasse «uno dei maggiori eventi mai accaduti in città» – si sono però trovati, letteralmente, davanti a un muro. Il presidente Donald Trump finora non ha dimostrato alcuna empatia verso la comunità afroamericana.

Ne è la riprova il fatto che venerdì, nel commentare i dati occupazionali sorprendentemente positivi, il presidente repubblicano abbia commentato come fosse «una grande giornata per George Floyd» che avrebbe apprezzato la notizia. E ieri Trump si separato ancor più, sia dai manifestanti che dall’indignazione generale, barricandosi nella Casa Bianca, circondato da varie centinaia di militari, dietro a recinzioni di due metri che sono state erette attorno a un ampio perimetro che include da una parte il parco Lafayette, «sgomberato» lunedì per dar modo al presidente di farsi scattare foto con una Bibbia in mano.

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Ad accogliere le proteste per la maggior parte pacifiche di uomini e donne bianchi e di colore, con cartelli inneggianti all’uguaglianza razziale e in memoria di George Floyd, di Breonna Taylor, e di molte altre vittime, migliaia di agenti in assetto antisommossa, ma anche la gigantesca scritta «Black lives matter» che, a lettere gialle, campeggia sull’asfalto di due isolati che portano alla Casa Bianca e una piazza con lo stesso nome su iniziativa della sindaca afroamericana della capitale, Muriel Bowser. Nonostante gli insulti che le sono arrivati da Trump, la democratica ha ottenuto che venissero ritirate le truppe schierate in città dal Pentagono dopo l’affermazione del miliardario di essere «il presidente della legge e l’ordine».

E qualcosa si sta finalmente muovendo. Dopo le pesanti critiche sull’uso di gas lacrimogeni contro i dimostranti pacifici, un giudice federale di Denver, in Colorado, ha proibito alla polizia locale di far ricorso alle «tattiche estreme intese a sopprimere le rivolte, non le dimostrazioni» – un divieto fissato per i prossimi 30 giorni anche dal sindaco di Seattle – mentre sia a Minneapolis che nell’intera California si sta procedendo per rendere illegale l’uso della morsa al collo da parte degli agenti, proponendo il riaddestramento di tutti i componenti delle forze dell’ordine.

Il governatore dello Stato di Andrew Cuomo – due poliziotti sono stati sospesi per aver spinto a terra un 75enne ed averlo lasciato sanguinante, ottenendo come risposta le dimissioni di 57 membri dell’unità tattica – sta anche premendo per approvare il rilascio di documenti disciplinari nei confronti della polizia, mentre il procuratore generale di Manhattan, Cy Vance, ha messo in chiaro di non aver intenzione di presentare accuse formali contro i dimostranti arrestati durante il coprifuoco.




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