giovedì 11 febbraio 2021
La denuncia del Programma Onu per l’Hiv: meno test e ritardi nell’avvio di nuovi trattamenti antiretrovirali potrebbero provocare almeno 123mila infettati e 69mila morti in più. Allarme in Sudafrica
Un centro analisi a Soweto (Johannesburg): resta alta in Sudafrica anche la percentuale degli infetti da Hiv

Un centro analisi a Soweto (Johannesburg): resta alta in Sudafrica anche la percentuale degli infetti da Hiv - Reuters

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In corso non c’è un’unica pandemia, e mentre il Covid-19 travolge i sistemi sanitari di mezzo mondo, l’altra, quella da Hiv, sembra approfittare della nuova crisi sanitaria per guadagnare terreno. Meno test eseguiti, dunque meno casi intercettati, insieme a ritardi nell’avvio di nuovi trattamenti antiretrovirali e sospensione di azioni di prevenzione. «La pandemia da Covid-19 sta avendo effetti di vasta portata. In molti Paesi, i servizi per l’Hiv sono stati interrotti e le catene di approvvigionamento di prodotti chiave sono state messe sotto pressione. In tutto il mondo, a meno persone viene diagnosticato l’Hiv e meno persone iniziano i trattamenti», ha dichiarato qualche settimana fa, alla presentazione dell’ultimo report sulla lotta all’Aids, Winnie Byanyima, direttrice esecutiva di Unaids, il Programma delle Nazioni Unite per Hiv e Aids di Ginevra. Per quantificare i potenziali effetti a lungo termine del coronavirus nella lotta all’Hiv, Unaids ha elaborato una proiezione sui dati raccolti nei Paesi dove opera. A livello globale, le interruzioni dei servizi e i ritardi derivanti dal Covid-19 potrebbero provocare tra 123mila e 293mila infezioni aggiuntive da Hiv. Gli ulteriori decessi correlati all’Aids potrebbero essere tra 69mila a 148mila.

Un dato già misurabile è il calo del tasso dei nuovi avvii di terapie antiretrovirali: circa 26 milioni di persone erano in trattamento a metà giugno, in aumento solo del 2,4 per cento rispetto a fine 2019. In confronto, nel primo semestre del 2019, l’aumento era stato del 4,8 per cento. Il calo del numero di persone affette da Hiv che sono all’inizio del loro trattamento è stato segnalato da 27 su 28 Paesi presi in considerazione dall’analisi. Questo calo di nuovi avvii di terapie è stato significativo in Sudafrica, la nazione con più casi di Hiv al mondo (7,5 milioni sul totale di 38 milioni). L’impatto del coronavirus è stato drammatico anche sulle nuove diagnosi: Unaids rileva «riduzioni ampie e sostenute dei test Hiv nella maggior parte dei 19 Paesi che hanno fornito dati mensili sufficienti. Mentre due di queste nazione sono tornate ai livelli di test pre-Covid- 19 entro settembre, in altri 16 il numero di test Hiv condotti rimane al di sotto dei livelli di gennaio e febbraio». Nella prevenzione della trasmissione del virus da madre a figlio, poi, sui 13 Paesi analizzati da Unaids sei hanno registrato una diminuzione di almeno il 25 per cento nel numero di donne incinte testate per l’Hiv. Ora – sperano da Ginevra – l’utilizzo su larga scala dei vaccini anti-coronavirus potrebbe consentire ai servizi per l’Hiv di riprendersi velocemente. «Rispondendo al Covid-19 – avverte Winnie Byanyima –, il mondo non può permettersi di commettere lo stesso errore dei primi anni di lotta all’Hiv, quando milioni di persone nei Paesi in via di sviluppo morirono in attesa di cure. Ecco perché siamo uno dei principali sostenitori di un vaccino “popolare” contro il coronavirus». Quello delineato da Unaids non è, comunque, solo un quadro a tinte fosche: le misure adottate per mitigare i colpi del Covid-19 hanno anche rimesso in campo, dando loro nuovo impulso, innovazioni pensate prima di questa pandemia e che in passato, nella lotta all’Aids, stentavano a decollare.

Ad esempio, per rispettare i lockdown, Paesi come Guatemala, Myanmar e Burundi hanno in questi mesi ampliato l’autotest dell’Hiv come alternativa agli esami nelle strutture sanitarie. In Polonia si offre consulenza al telefono, con consegna gratuita per posta di un kit diagnostico. In Tanzania si è passati all’erogazione di dosi di antiretrovirali sufficienti per un numero maggiore di mesi. In Nepal, Moldavia e Sierra Leone ci si è attivati per la consegna di farmaci a domicilio, nelle Filippine vengono utilizzate biciclette elettriche per garantire la continuità dei servizi. Insomma, sottolineano da Unaids, se il Covid-19 ha «messo in luce i pericoli derivanti da investimenti insufficienti nella capacità di risposta a una pandemia, ha anche stimolato l’accelerazione di approcci al controllo delle malattie infettive incentrati sulle persone, approcci a lungo richiesti da chi vive con l’Hiv». Per questo, si augurano da Ginevra, la crisi causata dal coronavirus potrebbe anche rivelarsi un’opportunità per rendere più rapida, finalmente e una volta per tutte, una risposta efficace per l’Hiv.

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