La gran lezione di umiltà del contagio che destabilizza
mercoledì 5 febbraio 2020

II coronavirus fa paura e non è dovuto solo alle fake news. Fa paura perché uccide, ma soprattutto perché i dati sono incerti, cambiano di minuto in minuto, e provenendo fondamentalmente dal Governo cinese, ci paiono non trasparenti. Per esempio, perché sigillare una città da 11 milioni di abitanti, chiuderla ai trasporti, costruire a tempo di record due ospedali da mille (o forse diecimila) pazienti ipotetici, se l’epidemia di cui stiamo parlando è un’influenza con la mortalità del 2% ovvero più o meno quella delle nostre indisposizioni stagionali? Se, ormai da una decina di giorni, l’argomento coronavirus si prende le prime pagine dei giornali (a volte anche le prime dieci pagine, non solo la prima pagina), ogni apertura di Tg o di testata online, nonché milioni di discussioni tra individui, vuol dire che abbiamo una certa ansia: ammettiamolo, ci sta prendendo una certa paura. E anche tra chi ha potere e dovere politico non tutte le reazioni appaiono lucide e giuste.

C’è, insomma, qualcosa che ci interessa terribilmente, perché riguarda le nostre vite e quelle dei nostri cari, ma allo stesso tempo c’è qualcosa che ci sfugge. In gene- re noi italiani crediamo poco alle istituzioni: figuriamoci se invece che essere nostrane, le autorità a cui credere sono quelle cinesi: e così stiamo facendo tutti un’esperienza di vulnerabilità raramente sperimentabile ai nostri giorni. A noi, in genere, sembra ovvio avere il controllo assoluto su ogni aspetto della nostra vita: basta pensare alla nostra agenda di oggi, probabilmente piena di appuntamenti con tempi e obiettivi programmati, decisi, definiti, ma fragilissimi perché capaci di crollare al minimo imprevisto, per esempio un treno che ritarda di un’ora.

Faccio di proposito l’esempio dei sessanta minuti dell’ora perché danno la misura di quanto la nostra civiltà sia fragile rispetto al non-controllo. Una popolazione dell’interno dell’Africa per esempio, una di quelle che misura il tempo non con il cronometro ma con le lune, in teoria ha molte meno difese di noi rispetto al coronavirus, però è infinitamente meno esposta di noi all’ansia, alla psicosi da epidemia, al panico, alla isteria collettiva di chi vede imminente sul volto di chi ama il morso sfigurato della morte. Forse l’epidemia cinese ci sta donando la possibilità di uscire dalla menzogna e di prendere coscienza che non abbiamo alcun dominio assoluto della nostra vita. Tra i due estremi, quello di alzare le spalle simulando indifferenza e quello di asserragliarsi dietro una mascherina chiedendo il certificato di salute a tutti quelli che si avvicinano, abbiamo l’occasione di imparare a essere umili perché la nostra misura è quella della risposta all’istante che ci sfida.

Credo sia impossibile vivere l’atteggiamento che propongo senza un’importante dose di preghiera. Sto pensando alla parabola di Gesù di Luca 18, quella che comunemente viene detta «dell’importanza di pregare sempre senza stancarsi mai» (Lc 18,1). Il gesuita Marko Rupnik sostiene, in modo convincente, che la giusta traduzione del verbo greco, lo stesso che si trova nei passi paralleli di Ef 3,13; 2 Cor 4,1; 2 Cor 4, 16; Gal 6,9, sia «dell’importanza di pregare sempre per non scoraggiarsi». Non pregare sempre “senza stancarsi” dunque, cosa a ben vedere impossibile, ma “pregare per non scoraggiarsi”: atteggiamento in verità molto sano e compatibile con la vita.

Anzi, l’unico atteggiamento che rende la nostra esistenza con tutti i suoi imprevisti (anche le epidemie) davvero compatibile con la vita. Perché solo l’atteggiamento religioso è veramente umano. La visione religiosa, quella cioè che pone l’uomo come singolo inserito in una comunità, consapevolmente dinanzi al mistero divino dell’esistenza è il Dna più profondo del nostro vivere, è l’unico quindi capace di emanciparci dalla psicosi e dall’isteria di massa. Pregare dunque è condizione dell’essere umani. Perché solo pregando si può vivere senza perdersi d’animo. Non è bello ammettere che abbiamo avuto bisogno dell’arrivo del coronavirus per impararlo di nuovo e per davvero, sarebbe letale però perdere anche questa ennesima occasione.

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