giovedì 23 marzo 2017
L'appello inedito della polizia, a non svelare l'identità per aiutare le indagini, riapre l'annoso quesito della sicurezza in cambio della libertà
«Media aiutateci: non rivelate il nome del terrorista di Westminster»
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La compostezza forse non ha sorpreso, come il fatto che solo pochi minuti dopo l’attacco a Westminster fossero già stati pienamente rispettati i protocolli di sicurezza per quanto riguarda evacuazioni di civili e la messa in sicurezza dei personaggi pubblici.

Quello che invece attrae l’attenzione è questa sorta di nuova “strategia” attuata da Scotland Yard e dalle unità anti-terrorismo: identità dell’assaltatore non è stata rivelata. Né la matrice dell’attacco terroristico, anche se quanto riguarda la scelta di simboli nulla manca a delinearne il quadro. «Riconosco che i media stanno facendo progressi verso l'identificazione dell'attentatore. Continuo a chiedere che questo nome non venga pubblicato mentre siamo in una fase così delicata delle nostre indagini, e mentre continuiamo a condurre arresti e perquisizioni», ha detto il vice capo della polizia di Londra (Met), Mark Rowley.

Prendere tempo, fornire pochi elementi all’esterno è fondamentale, insegnano gli esperti, nelle prime ore successive all’attacco. Questo ha concesso alla polizia di operare a Birmingham e nella notte compiere sette arresti e perquisizioni. Inoltre, i possibili mandanti restano spiazzati. Così come i fiancheggiatori. In questi casi si parla, infatti, di «chiamata» e non di ordine a colpire. Appello, perlopiù sul Web, ad agire rivolto a una platea di indottrinati più ampia. Radicalizzati islamici, in prevalenza, anche perché se ieri si «privilegiava la pista dell’islamismo radicale», oggi si fa riferimento ad azione «ispirata dal terrorismo internazionale».

Il nome uscirà, così come eventuali testi ritrovati nelle perquisizioni o analisi sugli strumenti elettronici usati dall’attentatore. Quello che resta, però, è una sorta di patto non scritto tra investigatori e media. Un’informazione, forse un po’ ritardata rispetto al “real time” a cui ci abituano ormai i social media, più consapevole del fatto che prima di tutto viene la sicurezza. Lo stesso quesito che dilania dall’11settembre la società occidentale: più sicurezza in cambio di meno libertà?

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