Soledar, le immagini di una città rasa al suolo e quegli spot pubblicitari
sabato 14 gennaio 2023

Soledar, dal nome potresti immaginare un porto mediterraneo, dei pescatori, l’odore del mare. Ma Soledar è nell’Est dell’Ucraina, e in queste ore russi e ucraini se la contendono con uno scontro feroce. È una cittadina mineraria, 11mila anime, che si è trovata in un punto sbagliato della carta geografica: sulla rotta prepotente di Putin, su quella della disperata difesa ucraina. Difficile trovare sul web foto di Soledar, “prima”. Ne ho scovata una, un palazzo antico sotto a un cielo azzurro, forse il municipio. Chissà, se c’è ancora.

Le immagini dai satelliti sulla città atterriscono, nel confronto a pochi giorni di distanza. La fabbrica con l’ordinata fila di capannoni dal tetto rosso ora è completamente incenerita, e guardate quel quartiere residenziale, belle casette in un ordinato giardino. Ecco, ora le villette sono rovine, arsi gli alberi, la terra del colore della cenere. E, la gente? Pare che ci siano ancora 500 civili intrappolati in città, quasi tutti vecchi e 15 bambini, e che gli ucraini non riescano a liberarli. (Come ogni volta, sono rimasti i malati nelle cantine, gli invalidi, e i nonni con un nipote fra le braccia. Come ogni volta, si ripete in ogni guerra la spietata selezione dei deboli).

Un'immagine satellitare di Soledar distrutta

Un'immagine satellitare di Soledar distrutta - Ansa / Satellite Image 2022 Maxar Technologies

Gli occhi dei satelliti dall’alto girano e tornano, ora un incendio si allarga nell’obbiettivo, è immenso, il cielo è rosso sangue. Più tardi, invece, bianca la terra a Soledar, ma non di neve: soltanto cenere. Oppure nei video della tv russa quelli della Brigata Wagner sui carri armati nelle sterrate, fra polvere, fabbriche e case distrutte. Appendono una bandiera a una finestra, «Soledar è libera!», gridano. Da Kiev smentiscono, la città non è ancora caduta. Se la contendono finché sarà solo una spoglia dilaniata dove non rimanga «pietra su pietra», come promettevano i nichilisti di Doestoewskij.

Ma tu che da lontano guardi a questo annichilimento sei ogni tre minuti interrotto, naturalmente, dagli spot. Ce n’è uno in queste ore ricorrente, di una compagnia telefonica, con bei ragazzi atletici e abbronzati che sorridono mentre fanno surf sotto al sole. “Tu sei il futuro”, proclama lo spot. Già, tu ragazzo d’Occidente sei il futuro, in un mondo in pace e in parte anche ricco e sazio. Un mondo ultimamente un po’ distratto, non si parla forse meno della guerra in Ucraina fra noi? Come fosse uno tsunami che non valicherà mai i bordi del “nostro” mondo. D’altronde, se pensi alle testate nucleari puntate sull’Occidente, alle navi da guerra russe che percorrono il Mediterraneo, una impotenza paralizzante può prenderti. Non si è capaci, noi, di stare davanti a tanta angoscia. «Tu sei il futuro», ci alletta lo spot con le belle facce dei nostri figli ventenni, e spensierato è l’avvenire. Poi, se non premi stop in fretta, ritornano le lande bruciate, i cingoli rabbiosi, i cannoni, e Soledar rasa al suolo. La nostra vita, la loro, apparentemente lontane anni luce eppure contemporanee e parallele. È un esercizio un po’ schizoide, questo esporsi ai due mondi. Eppure occorre affacciarsi su quella piccola città, non voltare la testa: guardare, prima, e poi, con maggiore attenzione, vedere. Un letto dietro una finestra sventrata, il tavolo di una cucina. Erano, quelle, case di uomini, come le nostre.

Anche un video sul web può essere oggetto di contemplazione. Di com-passione, di pena, di preghiera per quel piccolo mondo che si è trovato su un punto sbagliato della mappa. Piccolo mondo di uomini e donne e bambini – lontani e vicini, assolutamente simili a noi.

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