sabato 15 maggio 2021
Avi Gil, ex braccio destro di Shimon Peres: «Qui gli arabi sono sempre stati trattati come una minoranza. Ora Gerusalemme è stata usata per le lotte interne al Parlamento israeliano»
«Il risultato di anni di negligenza sulla questione palestinese»

Ansa

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«Quello che sta succedendo è il risultato di anni di negligenza nell’affrontare la questione palestinese, sia all’interno che all’esterno del Paese, senza alcuna visione politica di lungo periodo. Shimon Peres ha sempre sottolineato l’urgenza nell’affrontare questo problema, proprio per garantire la sicurezza di Israele».

Sono le parole di Avi Gil, diplomatico israeliano con 30 di carriera alle spalle, molti dei quali trascorsi al fianco dell’ex primo ministro e Premio Nobel per la Pace: era il suo Chief of staff durante i negoziati che hanno portato e al trattato con la Giordania e agli Accordi di Oslo.

Sul fronte interno, come si può spiegare il fenomeno dei linciaggi?

I conflitti urbani esplosi in queste settimane tra arabi ed ebrei sono lo specchio della spaccatura politica interna. Ma le radici di questa frattura affondano nel passato. Qui gli arabi sono sempre stati trattati come una minoranza e questo Ramadan non ha fatto che confermarlo: durante le loro festività, sono state imposte restrizioni per il contenimento della pandemia che non sono mai state applicate in occasione delle cerimonie ebraiche. Gerusalemme è stata strumentalizzata per gli interessi politici delle due parti: per le lotte interne al Parlamento israeliano e per le rivendicazioni di Hamas.

Lo scontento nella Striscia di Gaza si può attribuire anche al rinvio delle elezioni palestinesi tanto attese?

I palestinesi subiscono una situazione di paralisi politica che va avanti da ormai 16 anni. Abu Mazen aveva indetto le elezioni solo per ragioni diplomatiche, sapendo perfettamente che non avrebbero mai avuto luogo, poiché, se così fosse stato, avrebbe perso per sempre, a causa delle fratture interne al suo partito, il suo ruolo di leader. Quando la gestione delle forze di polizia durante i tumulti nella Città Santa si è rivelata un fallimento, Hamas ne ha sùbito approfittato per innescare l’escalation di violenza e sottolineare il proprio ruolo egemonico sia nell’enclave che nei Territori. Quale occasione migliore per il gruppo islamico, proprio nel momento esatto in cui il presidente dell’Anp, cancellando la corsa alle urne, dimostrava la sua debolezza? Attaccando Israele, i leader di Hamas hanno puntato a dimostrare che, a differenza dei “colleghi” di Fatah, inefficaci nel loro immobilismo, sono disposti a tutto pur di lottare per il popolo palestinese, sia nella Striscia che nella Cisgiordania.

Da specialista nella risoluzione di conflitti, cosa si sarebbe potuto evitare prima di arrivare a questo punto?

Peres diceva: “Io non sono esperto di arabi ma so che non sono così differenti dai popoli che ci sono nel resto del mondo, inclusi gli israeliani”. Anch’io credo che l’approccio “umano” sia cruciale in ogni pratica politica, sia dentro che fuori dal Paese. Ma per proseguire con quanto si era cominciato ad Oslo, e che da allora è stato completamente congelato, è necessario tornare al tavolo dei negoziati e garantire uno Stato ai palestinesi. Se non esiste un orizzonte verso cui guardare per portare avanti il processo di pace, la frustrazione di un popolo non può che portare a un’eterna spirale dell’odio.

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