lunedì 14 gennaio 2013
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«La Francia ha dovuto rispondere a un’emergenza che ormai stava seriamente minacciando non solo il Mali, ma l’intera regione del Sahel», spiega convinto Diakaridia Dembele, maliano, e uno dei pochi giornalisti e analisti che hanno recentemente visitato il nord del Mali occupato dai ribelli jihadisti. «La cattura della città di Konna da parte di Ansar Dine è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso – dice l’analista Dembele –. L’esercito maliano ha tentato di rispondere all’offensiva con i propri mezzi, ma non sono riusciti ha ottenere dei risultati concreti, probabilmente hanno anche perso qualche uomo. La Francia e altre truppe, già stazionate nella regione di Mopti da alcuni giorni, si sono quindi sentite in dovere di intervenire». Secondo il giornalista, gli interessi dell’ex potenza coloniale in Mali sono troppo forti per permettere a qualche migliaio di radicali islamici e criminali di occupare ben due terzi del Paese da quasi un anno. «Parigi e Bamako si parlano da tempo e hanno stretto una collaborazione a tutti i livelli – continua Dembele –. Per la Francia è sicuramente un’occasione per stringere nuove relazioni con il Mali da un punto di vista diplomatico, strategico e anche economico».Il potenziale delle risorse naturali presente nel Paese, sebbene ancora piuttosto sconosciuto, è “appetitoso”. Secondo alcuni studi, le tre regioni nascondono infatti riserve di uranio, petrolio e altri gas naturali. Inoltre, il nord del Mali rappresenta già da diversi decenni un crocevia di vari traffici di esseri umani, droga, sigarette e molto altro, una piaga che non giova ai leciti scambi commerciali. «Ma dobbiamo tener conto che non solo la Francia, ma anche gli Stati Uniti  stanno aiutando molto il Mali – ci tiene a precisare il giornalista –. Washington ha paura che i vari gruppi ribelli usino il nord del Paese come piattaforma per lanciare nuovi attacchi terroristici nelle capitali occidentali, per questo gran parte dei finanziamenti per l’esercito maliano proviene dall’America». Alla domanda riguardo al ruolo dell’Onu in questa crisi, Diakaridia Dembele ritiene che «il Consiglio di sicurezza ha aiutato a rendere la questione maliana un problema internazionale. Grazie all’ultima riunione d’urgenza avvenuta a New York, l’intervento ha acquisito una sua legittimità accettata da molti dei Paesi membri delle Nazioni Unite». Secondo gli analisti, questa guerra durerà per diversi anni, e potrebbe provocare delle serie conseguenze per tutti i Paesi confinanti. Dembele, però, non è interamente d’accordo: «Se i Paesi africani e l’Occidente riusciranno a fornire il Mali con i mezzi necessari per cacciare i ribelli e rendere sicuri i nostri confini e il nord del territorio – sostiene il giornalista – potremmo risolvere questa crisi nell’arco di poco tempo e iniziare a ricostruire il nostro Paese».
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