venerdì 28 settembre 2012
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​«Un’iniziativa di sicuro molto positiva, ma, forse, se l’accento fosse stato messo più sulla libertà religiosa e non sulla tolleranza, si sarebbe centrato meglio il problema». Attilio Tamburrini, membro dell’Osservatorio della libertà religiosa (organismo promosso dal ministero degli Esteri e da Roma capitale) e coordinatore del Rapporto annuale sulla libertà religiosa di Aiuto alla Chiesa che soffre (che sarà pubblicato nelle prossime settimane), commenta così l’evento intitolato «Società civile ed educazione ai diritti umani come strumento per promuovere la tolleranza religiosa», tenutosi ieri a New York a margine dei lavori della 67ma Assemblea generale delle Nazioni unite. Dalla sua posizione di osservatore privilegiato, che cosa sta facendo lo Stato italiano per promuovere libertà religiosa e dialogo interconfessionale?Proprio di recente sono state siglate tre intese importanti che vanno in tale direzione: con la comunità mormona, con quella cristiana ortodossa e con la chiesa apostolica, lo Stato italiano ha firmato accordi di reciproco riconoscimento che potrebbero essere presi come modello per il futuro. In questo modo lo Stato italiano rispetta il diritto inalienabile alla libertà religiosa, ma chiede anche il rispetto della legge. Ci sono voluti quindici anni, ma d’ora in poi mi aspetto iter più spediti.E con la comunità musulmana?È più difficile raggiungere intese complessive, perché manca una struttura unica che possa trattare a nome di tutti i musulmani italiani. È questo il nodo da risolvere.Questo per quanto riguarda i diritti delle minoranze sul territorio italiano. Se invece volgiamo lo sguardo all’esterno, quali buone pratiche possono essere messe in campo per sostenere le minoranze discriminate nel mondo?È chiaro che quando una minoranza religiosa è oppressa, non può certo manifestare contro le autorità. Per questo sta a quei governi che dicono di avere a cuore i diritti umani di agire dall’esterno: per esempio, subordinando i rapporti economici al rispetto del diritto internazionale. In concreto: se il governo indiano punisse i responsabili, induisti, delle stragi di cristiani e musulmani nell’Orissa, allora gli estremisti non si sentirebbero più legittimati dall’alto. O ancora, se gli Stati Uniti imponessero al governo egiziano di tutelare davvero la comunità cristiana copta, pena l’eventuale riduzione dei finanziamenti americani alla Difesa egiziana, credo che gli effetti si sentirebbero. A un anno e mezzo dalla Primavera araba, la minoranza musulmana salafita sembra guadagnare terreno, in modo legale o illegale. Come fermare la deriva integralista?Si tratta, appunto, di una minoranza, da distinguere rispetto alla maggioranza dei musulmani sunniti. Aggressiva, sì, e abile nello sfruttare ogni pretesto, come quel filmetto di dubbio gusto girato negli Stati Uniti, per operazioni di disinformazione propagandistica. Non si deve verificare un irrigidimento ideologico da parte dei governi occidentali nei confronti dell’islam in genere, ma certamente, nell’ambito dei rapporti di cooperazione internazionale, è necessario pretendere il rispetto dei diritti fondamentali. In fondo, è tutto scritto nell’articolo 18 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo.
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