sabato 30 agosto 2014
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I terroristi dell’Is «sono più pericolosi di un tumore». E quindi «vanno estirpati al più presto dal corpo della comunità internazionale». Altrimenti «si diffonderanno come metastasi in tutto il mondo». Habeeb Mohammed Hadi Ali Al Sadr, ambasciatore dell’Iraq presso la Santa Sede, non usa mezzi termini, parlando con Avvenire di ciò che sta avvenendo nel suo Paese. E proprio perché la situazione è grave, il diplomatico rivolge un appello alle organizzazioni internazionali: «Stiamo combattendo l’Is, ma abbiamo bisogno di aiuto. E dunque a nome del mio governo chiedo all’Onu, all’Ue, alla Nato di appoggiare l’Iraq in questa sua guerra contro i barbari del nostro tempo».Che cosa chiede in particolare il governo iracheno alla comunità internazionale?Abbiamo bisogno di armamenti e di nuove tecnologie. Purtroppo il nostro esercito non ha grande esperienza, perché dopo l’intervento americano del 2003 è stato sciolto e da allora completamente ricostituito. Nonostante questo, stiamo colpendo giorno dopo giorno le posizioni dell’Is e mi auguro che presto si vedranno i frutti di questa iniziativa militare. Ma l’Iraq non va lasciato solo in questo compito.Gli osservatori sostengono che il terrorismo va combattuto anche con una vera unità nazionale in Iraq. Con il nuovo presidente ciò sarà possibile?Faccio notare che, nonostante gli sciiti abbiano la maggioranza e potrebbero governare da soli, oggi c’è un governo di unità nazionale dove il presidente della Repubblica è un curdo, il primo ministro uno sciita e il presidente del Parlamento un sunnita. Anche quei sunniti che all’inizio erano stati irretiti dall’Is con la promessa che sarebbero tornati a comandare, come al tempo di Saddam Hussein, adesso stanno facendo marcia indietro. Resta però il fatto che i media mediorientali spesso diffondono notizie false, perché la nostra giovane democrazia non è vista di buon occhio da altri Paesi della regione.Quale efficacia hanno avuto i bombardamenti americani?Finora si sono limitati ad impedire l’avanzata verso Erbil da parte dell’Is, a coprire le zone intorno alla diga di Mosul e a fornire armi ai peshmerga. Noi speravamo che impedissero all’Is di arrivare alle zone della pianura di Ninive, per evitare lo spostamento dei cristiani verso le regioni curde, ma così non è stato. Tutto ciò che può servire a eliminare la minaccia terroristica del califfato incontra il favore del nostro governo.Quale eco hanno avuto in Iraq le iniziative del Papa?E una posizione apprezzata dal governo e dal popolo iracheno e dai nostri capi religiosi. Con le sue parole, la sua preghiera, la decisione di inviare in Iraq il cardinale Filoni e con i suoi aiuti economici, il Santo Padre ha spronato la comunità internazionale a interessarsi dell’Iraq. Siamo grati anche alla Caritas e al Pontificio Consiglio Cor Unum per ciò che hanno fatto e continuano a fare. Anche il governo di Baghdad ha fornito aiuti finanziari e derrate alimentari agli sfollati. Certamente ciò non elimina la sofferenza, ma almeno la allevia.Il Papa ha anche invocato l’intervento dell’Onu. Il suo governo come vede la formazione di una coalizione internazionale per fermare l’aggressore?È una soluzione auspicabile. Purtroppo finora non si intravede all’orizzonte una decisione del genere. Ma sono in atto terribili crimini contro l’umanità. Ci aspettiamo dunque che gli organismi internazionali non vengano meno alle loro responsabilità giuridiche e morali.E all’Italia cosa chiede l’Iraq?Noi ringraziamo l’Italia per l’appoggio alla nostra giovane democrazia e non dimentichiamo i morti di Nassirya. L’Italia è il partner numero uno per l’Iraq all’interno dell’Ue. E siccome fa parte della Nato, chiediamo che usi la sua influenza per far sì che la nostra battaglia contro il terrorismo riceva gli aiuti necessari.
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