venerdì 26 maggio 2017
Dopo le rassicurazioni di Trump a May, è ripreso lo scambio di informazioni sull'attentato al concerto costato la vita a 22 persone. Il Times: il kamikaze preparava l'attacco da almeno un anno
La premier britannica Theresa May con il presidente americano Donald Trump ieri a Bruxelles (Ansa)

La premier britannica Theresa May con il presidente americano Donald Trump ieri a Bruxelles (Ansa)

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Le intelligence di Londra e Usa hanno ripreso a parlarsi sulla strage di Manchester, dopo il gelo di ieri. Lo ha annunciato Mark Rowley dell'antiterrorismo britannico. Dopo l'irritazione di Londra per la fuga di notizie sui media americani, ieri la situazione si è distesa grazie ai colloqui a Bruxelles tra la premier Theresa May e il presidente Usa Donald Trump. Sul fronte delle indagini emerge che Salman Abedi preparava l'attacco da almeno un anno. Lo rivela il Times. Abedi avrebbe aperto un conto bancario dodici mesi fa per acquistare i materiali per confezionare la bomba, e per non destare sospetti avrebbe fatto acquisti in due tornate in negozi di fai da te di Manchester, prima di partire per la Libia ad aprile.

La fuga di notizie è grave. E ha mandato su tutte le furie l’alleato britannico. «Informazioni riservate» sull’attentato di Manchester sono finite in pasto ai giornali, molto prima dell’immaginabile. Imbeccato dall’intelligence americana, il New York Times ha divulgato anzitempo sia il nome dell’attentatore, sia le foto della scientifica inglese dell’ordigno impiegato nella strage, a indagini ancora in corso. Con il rischio di comprometterle e facilitare la fuga dei complici. Forse c’è stata una leggerezza di qualche fonte statunitense, che ha diramato notizie ancora calde, appena condivise con gli 007 britannici.

Una cosa che non dovrebbe mai accadere. Tanto meno fra intelligence amiche. Gli aiuti reciproci seguono sempre (o quasi) una disciplina rigorosa, con canali e procedure riservate. L’ipotesi più verosimile è però che l’incidente abbia una trama più intricata. È molto probabile che si sia trattato di una manovra ad arte, forse ordita da uno 007 corrotto, «ostile al nuovo corso di Trump», affermano in molti. Con l’obiettivo di screditare ulteriormente il presidente americano, in un momento di massima vulnerabilità nel primo viaggio all’estero.

Durissima è stata la reazione del ministro degli Interni, a Londra, che ieri ha «sospeso temporaneamente lo scambio d’intelli- gence» con l’alleato di sempre. Una misura dovuta. Forte. «A dire il vero più diplomatica che sostanziale », sostiene il generale Luciano Piacentini. La premier May ha chiesto chiarimenti a Trump durante il vertice di ieri pomeriggio a Bruxelles, esigendo «massima riservatezza» nella gestione delle informazioni comuni. «Faremo chiarezza con un’indagine completa, che ho già ordinato al dipartimento di Giustizia e alle altre agenzie», ha assicurato Trump.

Ma quanto è profonda l’incrinatura nel rapporto di fiducia reciproca? Gli 007 americani e britannici sono legati da un patto inscindibile. È sui campi di battaglia della seconda guerra mondiale che è germogliato il loro connubio, fattosi indissolubile durante l’era bipolare attraverso il patto Uk-Usa (UkUsa Agreement). Un’intesa che è proseguita senza ombre nella nuova fase della lotta al terrorismo internazionale e alla criminalità organizzata, come testimoniano le operazioni sinergiche in Afghanistan, in Medio Oriente e altrove.

Non esistono esempi più illuminanti di un’interazione altrettanto stretta fra intelligence, con obiettivi geostrategici comuni e forze militari inter-operanti. Gli inglesi sono sempre al fianco degli americani. Sono maestri nel campo dello spionaggio. Si fidano ad occhi chiusi dei colleghi americani. Per questo l’incidente di questi giorni fa particolarmente notizia. Ma c’è da giurare che non romperà l’asse angloamericano.

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