lunedì 9 gennaio 2023
Migliaia di sostenitori di Bolsonaro, avvolti nei colori della bandiera hanno assediato ieri i tre principali palazzi della politica. Lula: "Vandali saranno puniti"
1.200 arresti dopo l’assalto al Parlamento dei bolsonaristi
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Brasilia, primo gennaio 2023. Una raccoglitrice di rifiuti sale le scale del Planalto per consegnare la fascia presidenziale al nuovo eletto a nome del popolo brasiliano. Brasilia, 8 gennaio 2023. Lo stesso popolo brasiliano - eppure al contempo, un popolo altro - irrompe su quelle scale per vandalizzare il Parlamento e la Corte Suprema. La polizia federale arresta 1.200 persone. Tra le due immagini è trascorsa appena una settimana. Il tempo della politica, però, non sempre coincide con il tempo della cronologia.

Lo scarto tra i due orologi è l’espressione della ferita profonda che dilania la carne del Gigante del Sud. In cui convivono, almeno da quattro anni, due nazioni non comunicanti. Una, quella del Brasile reale, combatte ogni giorno con le conseguenze del Covid, che qui ha prodotto una strage di proporzioni immani, con l’aumento della povertà e addirittura il ritorno della fame, con l’invasione delle proprie terre da parte delle mafie, con la corruzione. Per cercare di risolverli, il 31 ottobre, la maggioranza ha affidato il governo a Luiz Inácio Lula da Silva, capo di una coalizione di centro-sinistra, di cui sono parte, però, anche i conservatori moderati.
I drammi citati investono pure l’altra nazione, il Brasile della post-verità.

Ma che, in una bolla di propaganda, fake-news e manipolazione, trovano spiegazioni potenti quanto falsificate. Non infondate del tutto. La post-verità è inossidabile perché prende parti di vero e le mescola in modo arbitrario fino a produrre una realtà deformata, in cui la verità c’è, ma in frammenti irriconoscibili.

Per il popolo che ieri ha invaso e vandalizzato i Palazzi del potere di Brasilia, il pericolo è “l’abisso rosso”, un fantomatico comunismo che, dopo aver frodato il voto, vuole impadronirsi del Paese. Le sue azioni sono così velleitarie da ingaggiare una battaglia feroce quanto persa in partenza. Le autorità nazionali – nonostante la connivenza di alcune istituzioni locali - e la comunità internazionale, dagli Usa all’Ue al resto dell’America Latina, non avrebbero tollerato un golpe nella maggiore democrazia a Sud del Rio Bravo. Lo sapeva e lo sa anche lo sconfitto Jair Bolsonaro che, non a caso, s’è ritirato da dieci giorni in Florida e, con una timida dichiarazione, ha cercato di segnare una distanza dall’attacco.

Ansa

Che si riconosca o meno una responsabilità diretta al leader dell’ultradestra, un Brasile lacerato, in cui coabitano due popoli incapaci di trovare anche solo un alfabeto minimo condiviso, è l’eredità che si lascia alle spalle.


La sfida per il successore di aprire uno spiraglio di comunicazione, già titanica prima dell’8 gennaio, appare ora ancora più ardua quanto urgente. Se riuscirà, a vincere non sarà solo la democrazia brasiliana. In un mondo in cui la post-verità avanza, dalla Russia agli Usa, quella che Paolo VI definiva la “terra del futuro”, potrebbe indicare un orizzonte per il presente.

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