sabato 17 ottobre 2020
A Usivak la distribuzione del tè costruisce relazioni mentre gli operatori Caritas svolgono corsi per i ragazzi. Il nunzio Pezzuto: vitale sostenere la speranza
Il social corner di Usivak, in Bosnia, per i profughi della rotta balcanica

Il social corner di Usivak, in Bosnia, per i profughi della rotta balcanica - Focsiv

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«Non so quanto è durato il viaggio dall’Iran fino a qui, mi ricordo che abbiamo viaggiato tanto a piedi. Prima – ti spiega la ragazzina in giacca a vento arancione – abbiamo passato del tempo in Turchia». Adesso sorseggia una tazza di tè sulla scalinata in cemento che porta al “Social corner”, inaugurato pochi giorni fa al “campo di ricezione temporanea” di Usivak, a una ventina di chilometri da Sarajevo.

È stato il nunzio apostolico Luigi Pezzuto a inaugurarlo perché il prefabbricato, montato alla sommità di una preesistente area spettacoli ad anfiteatro, è stato acquistato grazie a una donazione di papa Francesco in occasione della recente Giornata mondiale del migrante. Questa è «l’ultima tappa del percorso migratorio, prima di entrare in Europa. Quindi, è di vitale importanza sostenere la speranza di queste famiglie con bambini e minori non accompagnati in un futuro migliore», spiega l’arcivescovo Pezzuto. Una scelta certo non casuale il campo di Usivak. Fino al 2018 la rotta balcanica non transitava da qui: più conveniente – quando nel 2015 iniziò la grande ondata di profughi – entrare in Croazia o in Ungheria, le prime frontiere dell’Ue, direttamente dalla Serbia. Da un paio d’anni i violenti respingimenti delle polizie di frontiera hanno riversato decine di migliaia di profughi in Bosnia Erzegovina, totalmente impreparata a questa emergenza.

Il campo di Usivak è gestito dall’Organizzazione delle migrazioni (Onu) grazie a fondi Ue mentre le autorità locali «di fatto si sono rifiutate di organizzare una politica migratoria lasciando le agenzie umanitarie senza reali interlocutori», spiega Daniele Bombardi coordinatore di Caritas Italiana nei Balcani. Una emergenza inaspettata per un Paese da cui tradizionalmente si emigrava, e con numeri importanti: si stima siano stati 35mila i transiti nel 2019 in Bosnia, mentre lo scorso agosto i campi con una capienza di 5mila posti accoglievano oltre 6.300 persone e altre 4mila dormivano per strada. Uomini soli, famiglie con bambini e anche minori non accompagnati – il più piccolo a Usivak ha solo 10 anni e viene dall’Afghanistan – che aspettano solo il momento buono per varcare la frontiera. «Vogliamo andare in Germania perché lì ci sono i miei nonni paterni. Invece la mia sorella più grande è rimasta in Iran con i nonni materni», ti spiega la piccola iraniana. Anche lei tenterà il “game” come lo chiamano tutti, il passaggio alla frontiera. Gli uomini soli provano ad avventurarsi sulle montagne in cerca di un valico, ma a rischio delle percosse, o peggio, della polizia di frontiera, che su molti di loro ha già lasciato profonde cicatrici. Le famiglie, con tariffe che vanno dai 3mila euro in su, si affidano ai “passeur” che, di confine in confine, hanno già prosciugato il piccolo capitale realizzato spesso vendendo casa.


Il Covid sta creando una vera «pandemia della fame». Per rispondere, in modo coordinato ed efficace, è nata la campagna «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» di cui Avvenire è media partner. L’obiettivo è di sostenere, fino al gennaio 2021, più di 60 «punti di intervento» in Europa dell’Est, Africa, Asia e in America Latina. Micro-progetti per aiutare chi soffre la mancanza di cibo e resi possibili da «Insieme per amore degli ultimi», alleanza operativa fra Caritas Italiana e Focsiv, la Federazione degli organismi cristiani di servizio internazionale volontario. Si può donare: online, all’indirizzo insiemepergliultimi.it/ dona-ora; con bonifico a Banca Etica, intestato a Focsiv campagna Focsiv-Caritas Italiana, IBAN IT87T05018032000000 16949398; con c/c postale n° 47405006, intestato a Focsiv, causale: Focsiv-Caritas italiana – Insieme per gli ultimi

E a Usivak si aspetta di passare, con l’emergenza Covid che da marzo a fine maggio ha costretto in lockdown duro pure i profughi. Poi mascherine e dispensatori di gel sono comparsi fra i vani ricavati da quella che era una vecchia caserma dismessa. Si aspetta, sapendo che il distanziamento fisico è impossibile. Si aspetta, ma non si vive: «Sono qui con tutta la mia famiglia: 2 fratelli, mamma e papà. Vogliamo andare in Germania, le mie zie sono già lì. Ma è da 3 anni che siamo in viaggio, è difficile» confida un ragazzino afghano. «È noioso stare sempre dentro al campo, ma il problema è anche uscire: non abbiamo soldi, e se anche uscissimo più spesso cosa potremmo fare?».

Così ogni giorno, al “Social corner”, Caritas Italiana distribuisce il tè. È un modo di intessere relazioni e ascoltare i bisogni dei profughi in questa oasi sociale: «Cerchiamo di animare le loro giornate: si crea un punto di incontro e proponiamo dei corsi di alfabetizzazione per i più piccoli», spiegano i responsabili, due operatori di Caritas fissi e due volontari presenti ogni giorno. A Usivak non si vive, ma si può prepararsi al dopo: apprendere una lingua straniera o frequentare dei corsi professionali. Il distanziamento da Covid impone non più di 30 presenze al giorno, suddivise in due turni. Primi passi di una attività (il tè per tutto il campo e i primi corsi) che costa almeno 2mila euro mal mese e che si può sviluppare ulteriormente con psicologi o insegnanti specializzati.

«Il 27 marzo, in una piazza San Pietro vuota, papa Francesco ha enunciato i valori e le idee per costruire una comunità migliore dopo la crisi della pandemia », ricorda Daniele Bombardi. «Ho in mente questa frase di Francesco: Dobbiamo trovare il coraggio di aprire nuovi spazi, dove ognuno possa sentirsi benvenuto, e dove possiamo mettere in campo nuove forme di ospitalità, di fratellanza e solidarietà». Al Social corner di Usivak il tè caldo è servito.

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