venerdì 4 settembre 2020
Il Paese sta vivendo le fasi più dure del contagio, con 451mila positivi e oltre 9mila morti. Per avere accesso alle camere in ospedale si ricevono specifica formazione e dispositivi di protezione
Mascherine e cartelloni sul Covid nel centro della capitale argentina Buenos Aires

Mascherine e cartelloni sul Covid nel centro della capitale argentina Buenos Aires - Ansa

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«Se n’è andato via così e io avrei voluto salutarlo. Lo abbiamo lasciato in un ospedale ed è come se fosse scomparso, evaporato»: così raccontava un quarantenne che, da poco, aveva perduto il padre, al culmine della pandemia nel suo epicentro lombardo, la cittadina di Nembro in provincia di Bergamo.

Lo stesso senso di straniamento e di distacco irreale ha accomunato e ancora accomuna, in giro per il pianeta, tutte le famiglie di malati Covid-19 ricoverati e isolati negli ospedali: impossibile stare vicini a mariti, mogli, genitori e fratelli, impossibile incoraggiarli e, alla fine, dire loro addio. A luglio aveva fatto il giro del mondo il video di una donna aggrappata alla finestra del primo piano di un ospedale della capitale Buenos Aires: si era arrampicata nel disperato tentativo di vedere un parente ricoverato a causa del coronavirus, dopo che le era stato negato l’accesso alla struttura per evitare rischi di contagio.

Ora, proprio dall’Argentina, arriva la notizia dell’approvazione di una legge che permette ai malati terminali di Covid degli ospedali della capitale di ricevere la visita di un congiunto. La misura è stata approvata all’unanimità dall’Assemblea legislativa della Città Autonoma di Buenos Aires lo scorso 27 agosto ed è entrata in vigore in questi giorni. A differenza di quanto sta accadendo in Italia, dove la pandemia sembra avere rallentato la sua corsa (malgrado sia ancora impresa ardua fare visita persino a parenti ricoverati per altre patologie e in reparti no-Covid), in Argentina la popolazione sta ancora vivendo le fasi più dure del contagio: ierisi è registrato un nuovo record giornaliero di casi, 12.026. Con oltre 451mila positivi (e 9.361 morti) il Paese si trova oggi al decimo posto nella classifica globale delle nazioni più colpite. Fino a poche settimane fa l’epicentro era proprio la città di Buenos Aires, che per circa 50 giorni ha visto la curva delle infezioni giornaliere ferma tra quota 1.000 e 1.200, mentre ora il virus corre veloce anche nelle città dell’interno.

Malgrado la complessa gestione dell’emergenza ancora in corso, la necessità di garantire una morte dignitosa, non in solitudine, è arrivata all’attenzione dei legislatori locali. «Da giorni ormai viene garantita a un componente della famiglia di età compresa tra i 18 e i 60 anni, che sia in buone condizioni di salute e non in gravidanza, la possibilità di essere presente negli ultimi momenti di vita di un congiunto», spiega il primo promotore del provvedimento, Juan Facundo Del Gaiso, deputato dell’Assemblea legislativa di Buenos Aires e dirigente del partito della Coalición Cívica.

«So che il provvedimento è già attivo dai messaggi che ricevo dai familiari dei malati. Il disegno di legge ha preso forma proprio ascoltando i racconti delle famiglie di persone morte in assoluta solitudine. Oggi, per avere accesso alle camere, si riceve specifica formazione e devono esseri garantiti i medesimi dispositivi di protezione che hanno medici e infermieri». Al momento il protocollo che autorizza le visite è in vigore solo negli ospedali pubblici di Buenos Aires: «È nel sistema sanitario privato che riscontriamo i problemi» aggiunge Del Gaiso.

«Le cliniche private, che ugualmente sono state invitate ad aderire all’iniziativa, non essendo obbligate ad attuare le misure, ancora non lasciano passare i familiari e questo genera tensioni, anche se credo che si riuscirà a risolverle». L’obiettivo qui, conclude il deputato, «è che si possano fare passi avanti per garantire un diritto umano fondamentale, quello di dirsi addio».

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