venerdì 8 gennaio 2021
Mercoledì 6 gennaio, giorno dall’assalto del “popolo” al Parlamento di Washington, è andato in frantumi non solo il mito della democrazia statunitense ma anche il “sogno digitale americano”
Il sogno digitale degli Usa va in frantumi

Ansa

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Mercoledì 6 gennaio, giorno dall’assalto del “popolo” al Parlamento di Washington, è andato in frantumi non solo il mito della democrazia statunitense ma anche il “sogno digitale americano”. Il suo credo era: le nuove tecnologie digitali permetteranno a ognuna e ognuno di noi di «sconfiggere il sistema» e di aprire una nuova era di libertà individuale, di intelligenza collettiva, di potere al popolo.

Fu la cosiddetta “Ideologia Californiana”, nata nella Silicon Valley negli anni ’70 e propugnata in Italia da Gianroberto Casaleggio nel suo visionario video “Gaia, il futuro della politica”. E invece anche i monopoli digitali di Facebook e di Twitter hanno dovuto togliere la parola a Trump, riconoscendo così involontariamente la loro disfatta come strumenti di liberazione. Senza l’uso delle tecnologie digitali come “armi di sovversione di massa”, infatti, la presa del potere di Trump sarebbe stata impensabile. Con la sua ascesa fulminea, il presidente uscente ha dimostrato che le armi digitali danno molto più potere ai potenti che non agli utenti. Il dominio dei dati, non quello dei soldati, è oggi l’arma più efficace per conquistare il potere. È principalmente con l’arma digitale, infatti, che settantaquattro milioni di elettori della maggiore potenza mondiale sono stati convinti a mandare al potere un eversore paranoico delle regole e a dargli in mano il bottone delle armi atomiche.

E probabilmente lo avrebbero eletto di nuovo, se la pandemia non avesse messo in luce le sue tragiche incapacità. Per avere una misura dell’ascesa e del crollo del “sogno digitale americano” confrontiamo due immagini. La prima è quella di ieri del più emblematico Parlamento del mondo dissacrato, funestato dalla morte di 4 persone e trasformato davvero in «un bivacco di manipoli». La seconda immagine è quella del leggendario spot con cui nel 1984 Apple lanciò il suo rivoluzionario Macintosh. Lo spot rappresentava epicamente quel primo vero personal computer di massa come un’arma politica digitale accessibile a tutti, con la quale i deboli avrebbero potuto finalmente frantumare il potere dei forti.

Quello spot eroico, forse il più celebre e il più politico mai realizzato fu trasmesso nello spazio pubblicitario più costoso: il Superbowl, la finale del campionato di football statunitense, vista da cento milioni di spettatori. Guardiamolo bene: una folla omogenea di grigi sudditi, vestiti di un grigio pigiama impolverato da carcerato, siede in una grigia platea e ammira inerte, su un enorme schermo, un grigio Grande fratello che la arringa. Ma ecco che irrompe nella sala una figura a colori. È una bionda giovane atleta in calzoncini rossi e canottiera bianca. Corre verso lo schermo con passi da salto triplo. Rotea un enorme martello. Infine lo lancia contro lo schermo del Grande fratello e lo manda in frantumi.

Dallo schermo squassato soffia finalmente un potente vento liberatore che investe e redime la folla grigia. Confrontiamo oggi l’immagine utopica della seducente ragazza, con quella reale delle orde violente che hanno profanato il Parlamento Usa, aizzate da Donald Trump con un uso professionale e pervasivo dei social media. Trentasette anni dopo quella vana promessa di redenzione grazie ai computer, è ora di aprire gli occhi sulle macerie del cosiddetto 'digitalismo politico'. Occorre però guadare alla foresta, non al singolo albero del male. Gli anticorpi del sistema politico statunitense si libereranno probabilmente di un individuo senza scrupoli. Ma quante generazioni ci vorranno per risanare dalle menzogne, dalla credulità, dal fanatismo e dall’odio propagati con le armi digitali, i cuori e le menti delle tante persone che lo hanno portato al potere? In democrazia – lo sappiamo – si può eleggere un altro presidente, ma non si può eleggere un altro popolo.

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