giovedì 28 novembre 2019
«I musulmani facciano un passo avanti ». Ha ubbidito subito all’ordine del commando jihadista entrato all’Holey Artesan Bakery di Dacca dove beveva un caffè con le amiche Abinta Kabir e Tarishi Jain
Dacca, il sacrificio di Faraaz: scelse di non fuggire
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«I musulmani facciano un passo avanti ». Ha ubbidito subito all’ordine del commando jihadista entrato all’Holey Artesan Bakery di Dacca dove beveva un caffè con le amiche Abinta Kabir e Tarishi Jain. Faraaz Hussein era un islamico osservante: era rientrato da Atlanta, dove studiava all’Università di Emory, proprio per celebrare il Ramadan con la famiglia. Il ventenne non ha avuto problemi nemmeno con la seconda imposizione: recitare un brano del Corano per di- mostrare la propria fede. Quel tragico primo luglio, dunque, Faraaz sarebbe potuto uscire dal bar e tornare a casa, perfino partire l’indomani per la vacanza in Malaysia insieme ai genitori: i terroristi l’avevano lasciato libero.

Ha scelto, invece, di restare e affrontare la morte pur di non abbandonare Abinta e Tarishi. Queste ultime non avevano via di scampo agli occhi esaltati dei terroristi, capaci di deformare le parole dell’islam per fini tutt’altro che religiosi. Tarishi era indiana e, dunque, “infedele”. Abinta, statunitense e musulmana, andava punita per la colpa di portare “scandalosi” abiti occidentali. La sentenza inappellabile era stata emessa: morte per sgozzamento.

Faraaz sapeva che avrebbe condiviso la stessa sorte quando ha guardato in faccia gli uomini del commando e ha detto loro: «Non me ne vado senza di loro». Una frase pronunciata nel nome di quella stessa fede che i suoi carnefici violentavano con i loro atti. I corpi dei tre sono stati trovati vicini. Il giovane aveva numerose ferite sulle mani, segno della lotta per difendere la vita propria e delle amiche. Per il suo coraggio, il suo nome è stato inserito nella “Foresta dei giusti” di Gariwo.

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