venerdì 23 marzo 2018
Il messaggio dei presuli agli Stati generali della bioetica: uccidere, anche pretendendolo di farlo per compassione, non è mai una forma di cura
Una marcia per la vita a Parigi

Una marcia per la vita a Parigi

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«Sei ragioni etiche di prim’ordine» per non cedere, in Francia, alle sirene ingannevoli e disumane dell’eutanasia. Ieri, nel corso della plenaria di primavera a Lourdes, i vescovi francesi hanno voluto inviare al Paese un vibrante messaggio in nome dell’«emergenza» reale sperimentata ogni giorno nelle corsie ospedaliere, che è quella della «fraternità» dovuta sempre a ogni essere umano.

Nel pieno svolgimento degli Stati generali della bioetica, in vista della non lontana revisione parlamentare obbligatoria della legge quadro, la Conferenza episcopale si è espressa collegialmente, in un clima mediatico segnato da appelli pro-eutanasia firmati pure da esponenti politici e personalità di vari orizzonti.

1) I presuli invitano innanzitutto a considerare il carattere recente delle ultime norme sul fine vita entrate in vigore, e varate nel febbraio 2016: «Cambiare la legge manifesterebbe una mancanza di rispetto non solo per il lavoro legislativo già compiuto, ma anche per la paziente e progressiva implicazione di coloro che curano. La loro emergenza è che si lasci loro del tempo».

2) La seconda ragione evocata è riassunta da una domanda: «Forte della fraternità che proclama, come potrebbe lo Stato, senza contraddirsi, fare la promozione – anche solo regolamentata – del suicidio assistito o dell’eutanasia, sviluppando al contempo dei programmi di lotta contro il suicidio?», scrivono i vescovi, osservando che, in caso di cedimento, un «gesto fratricida si leverebbe nella nostra coscienza collettiva».

3) Un altro squarcio abissale si aprirebbe pure all’interno del mondo medico, costretto a rinnegare i più saldi principi volti alla salvaguardia della vita: «Uccidere, anche pretendendo di farlo per compassione, non è mai una forma di cura. È un’emergenza salvaguardare la vocazione della medicina».

4) Cedere all’eutanasia significherebbe pure mostrarsi sordi all’appello che giunge sempre dalla vulnerabilità delle persone: «La sofferenza di quelle che chiedono talvolta che si metta fine alla loro vita, se non è stato possibile prevenirla, dev’essere ascoltata. Essa obbliga a un accompagnamento più attivo, non a un abbandono prematuro al silenzio della morte. È qui in gioco un’autentica fraternità da rafforzare con urgenza: essa è il legame vitale della nostra società».

5) Drammaticamente fuorviante è pure associare l’eutanasia alla libertà individuale: «Ma in cosa consiste una libertà che, in nome di un’illusoria autonomia sovrana, rinchiuderebbe la persona vulnerabile nella solitudine della sua decisione? L’esperienza – proseguono i vescovi – attesta che la libertà è sempre una libertà in relazione grazie alla quale si stringe un dialogo in modo che chi cura sia caritatevole».

6) Inoltre, creare «istituzioni specializzate nella morte» sarebbe «fonte d’inevitabili tensioni per i pazienti, i loro cari e quanti curano», finendo per pesare sulla fiducia speciale fra il paziente e chi lo cura.

È dunque la fraternità la vera «emergenza » quotidiana a cui il Paese deve prestare ascolto, esortano in chiusura i vescovi.

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