venerdì 1 settembre 2017
I caccia Usa e sudcoreani sorvolano il confine. La Cina: «No ad atti di forza o sarà il caos». Il regime di Kim respinge la condanna dell’Onu. Tokyo verso un aumento record delle spese militari
La traiettoria del missile di Pyongyang che ha sorvolato il Giappone settentrionale (Ansa)

La traiettoria del missile di Pyongyang che ha sorvolato il Giappone settentrionale (Ansa)

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Nessuna frenata. Anzi. Nella guerra di nervi che contrappone Pyongyang e Washington, tra minacce (proferite) e dimostrazioni di forza (effettuate), sembra ci si approssimi sempre più all’orlo scivoloso e catastrofico del non ritorno. La Corea del Nord continua a giocare la sua partita. In maniera spregiudicata. E all’Onu che ha condannato il lancio del missile che ha sorvolato il Giappone, bollandolo come «oltraggioso» ha replicato rivendicando il «diritto all’autodifesa» che spetta «a uno Stato sovrano». Un portavoce del ministero degli Esteri nordcoreano, attraverso l’agenzia di stampa Kcna, ha poi puntato il dito, ancora una volta, contro gli Usa ribadendo che il missile è solo «un assaggio» delle risposte alle manovre congiunte “Ulchi Freedom Guardian” tra Seul e Washington e un significativo preludio contro Guam, «la base di prima linea per l’invasione».

Non solo. Secondo Seul, il regime di Kim Jong-un sarebbe pronto ad effettuare il suo sesto test nucleare. Per il vice ministro della Difesa sudcoreano Suh Choo-suk, ci sarebbe «la possibilità di ulteriori provocazioni strategiche, comprensive sia di nuovi missili balistici sia del sesto test nucleare». Sempre per il ministero della Difesa di Seul, la Corea del Nord ha limitato alla metà delle sue potenzialità la gittata del missile che martedì ha sorvolato il Giappone, finendo poi nel Pacifico. Il vettore a media gittata Hwasong-12, se fosse stato programmato al massimo delle sue possibilità, avrebbe potuto percorrere tra i 4.500 e 5mila. Una distanza sufficiente per raggiungere le basi militari Usa nell’isola Guam, che ha già vissuto lo spettro di un possibile attacco a Ferragosto e che Pyongyang nelle ultime ore ha nuovamente minacciato di colpire.

Seul ha poi annunciato di voler istituire una task force militare pronta a fronteggiare «un nuovo concetto di guerra». L’obiettivo annunciato è la piena operatività in combattimento e garantire una modalità «aggressiva» di fronte alle provocazioni nordcoreane. La replica americana non si è fatta attendere. Per la prima volta quattro caccia americani F-35B sono partiti dal Giappone e due bombardieri strategici B-1B dalla base navale di Guam, nell’Oceano Pacifico, e hanno sorvolato la frontiera che divide la penisola coreana, simulando una serie bombardamenti chirurgici. All’esercitazione aerea hanno partecipato anche quattro caccia F-15K sudcoreani.


L’escalation spinge sempre più la Cina nell’angolo, stretta tra le pressioni del presidente americano Donald Trump e le difficoltà a piegare il riottoso (e imprevedibile) alleato nordcoreano. Il portavoce del ministero della Difesa Ren Guoqiang ha usato toni insolitamente minacciosi. La Cina non permetterà mai la guerra o il caos alle sue porte, assicurando che «le soluzioni militari non sono un’opzione». «La Cina mantiene la sua posizione sulla denuclearizzazione della penisola coreana», ha aggiunto Ren ponendo l’accento sulla priorità a pace e stabilità nella penisola con una soluzione che possa maturare «tramite il dialogo e le consultazioni».

Non mancano le ennesime frizioni con il Giappone, dopo che il ministero della Difesa giapponese ha chiesto un aumento record del proprio bilancio nell’anno fiscale 2018, in risposta alle minacce della Corea del Nord. L’importo, di 5.200 miliardi di yen (40,5 miliardi di euro), è pari a un incremento del 2,5%, e gran parte servirebbe a coprire le spese per le nuove batterie di missili intercettori terra aria e sistemi navali di contraerea. Se il Parlamento lo approvasse, sarebbe il sesto aumento annuale consecutivo sotto la guida del premier Shinzo Abe, dopo 10 anni di riduzioni. Per la Cina una nuova spina nel fianco.

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