giovedì 19 aprile 2018
La gente è legata alla memoria di Fedel Castro che ha garantito il diritto alla scuola, la sanità e la sicurezza. Ma le nuove generazioni chiedono di più: la libertà di fare carriera
I cubani: «Il futuro non ci rubi il passato»
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Por Cuba. Per Cuba. Con questo slogan il governo aveva chiamato alle urne i cittadini l’11 marzo scorso perché scegliessero i deputati del Parlamento incaricati di eleggere i membri del Consiglio di Stato. Adesso, gli stessi sono riuniti per decidere chi sarà il presidente del dopo Castro. Ma quali sono i pensieri e le aspettative della gente? «Io ho votato – racconta Ines mentre pazientemente aspetta il suo turno in una macelleria di Trinidad – nella speranza che il futuro della Rivoluzione venga preservato, e credo che chi verrà dovrà pensare per prima cosa a salvaguardare quello che di buono è stato fatto in questi sessant’anni».

Alfabetizzazione, sanità, sicurezza: su questo Fidel Castro aveva puntato per il successo della sua operazione, e ancora oggi sono questi i capisaldi su cui si basa la società cubana. «L’istruzione continua ad essere completamente gratuita, a partire dall’asilo nido sino all’università, e tutti i cittadini ne hanno diritto », racconta una giovane mamma, ex insegnante alle elementari. «Io ho deciso di abbandonare la scuola per lavorare nel turismo perché lo stipendio non ci permetteva di arrivare a fine mese». Dodici dollari, l’equivalente di 300 pesos nazionali: questo il compenso per lavorare dalle 8:30 alle 17:30 nella pubblica istruzione. «Ora lavoro in una casa particular (l’equivalente cubano di un bed&breakfast) e riesco ad avere una paga quotidiana e molto più tempo libero da dedicare alla famiglia». «Sarebbe bello se finalmente arrivasse un aumento degli stipendi, 300 pesos sono veramente pochi». «Da noi tutto funziona fino a quando devi comprare dei prodotti nazionali, ma quando hai bisogno di qualcosa che viene importato i prezzi salgono decisamente». Subito il discorso si sposta sulla questione dell’embargo. «Non avendo una vera e propria rete industriale – le uniche grandi produzioni restano quelle legate al tabacco e alla canna da zucchero – continuiamo ad avere la necessità di far arrivare da fuori una grande quantità di prodotti e questo non fa altro che aumentare i costi». Per esempio? «Un televisore che in Italia puoi comprare con 200 euro qui puoi arrivare a pagarlo tre volte tanto», dice una signora cubana sposata con un italiano. «L’embargo resta un grosso problema e siamo decisamente preoccupati per quello che sta succedendo in Venezuela, da lì arriva tutto il nostro petrolio, dovesse cambiare qualcosa per noi sarebbero guai».

Il rapporto di amicizia con il Venezuela è forte: l’isola è piena di cartelloni che ritraggono Chavez insieme a Fidel, «il miglior amico di Cuba». Una vicinanza solidale, alimentata dallo scambio tra il petrolio, inviato da Caracas, e le figure professionali – medici su tutti – forniti dall’Avana.

Perché la sanità cubana è ancora oggi una delle migliori al mondo, con eccellenze di ricerca in molti ambiti. Ed è per questo che in ogni famiglia è molto facile incontrare un professionista del settore. «Su tante cose siamo all’avanguardia, in campo medico – spiega Armando, cardiologo in pensione –. Il grosso problema restano le strutture, perché non c’è abbastanza denaro da investire, e il reperimento dei medicinali, che sono sempre contingentati a causa dell’embargo».

Il blocco imposto a Cuba resta insomma il più grosso ostacolo che condiziona il presente. E che condizionerà, forse, il futuro: tutto dipenderà dal rapporto che il nuovo presidente riuscirà a costruire con gli Stati Uniti. «È vero che dopo la visita di Obama del 2016 si è avuta la sensazione che qualcosa iniziasse a muoversi. Lo si percepiva, soprattutto per quel che riguarda il turismo. Ma con l’arrivo di Trump tutto è tornato come prima, e onestamente non so come potrà andare nei prossimi anni». Ernesto è uno dei tantissimi tassisti che percorrono quotidianamente le strade dell’isola: «Come puoi vedere, i turisti americani non sono molti, e questo non è un bene: ci aspettavamo un cambiamento in questo senso. Per noi sono i benvenuti. In ogni caso, se non vogliono venire – precisa dentro una fragorosa risata –, pazienza: continueremo a vivere come facciamo da sessant’anni a questa parte».

La sensazione è che, al netto di tutto, la gente, qui, si senta protetta. «Continuano a mancarci molte cose, ma almeno questo è un Paese sicuro», ci si sente spesso ripetere. Ed effettivamente Cuba resta una mosca bianca in un Sudamerica caratterizzato da una violenza diffusa.

Anche se i giovani hanno aspettative più grandi, più forti. «Un giorno ci piacerebbe essere liberi di visitare il tuo Paese come tu stai visitando ora con il nostro», dicono alcuni ragazzi impegnati nel tentativo di trovare una connessione Internet attraverso uno degli hotspot distribuiti tra i parchi e le piazze delle grandi città. «Non so se accadrà mai, perlomeno ora abbiamo la possibilità di vedere attraverso la rete cosa succede nel resto del mondo». Internet e il Wi-Fi a Cuba sono ancora un bene “relativamente” di lusso. E sono un altro argomento di dibattito tra la vecchia generazione, che pare non interessarsi molto alla questione, e quella più giovane, che vorrebbe avere le stesse possibilità dei coetanei occidentali.

E per quel che riguarda il lavoro? Enrique, ex ingegnere meccanico per un’azienda dello Stato, indica la parte bassa della tazzina del caffè che sta consumando al bancone di un bar: «In questo Paese parti da qui – dice –. Lavori per una vita, e dove arrivi? Sempre qui». «Guardo i miei nipoti e spero che un giorno possano aspirare ad avere una vita migliore, costruirsi una carriera, se è quello che vogliono». Un pensiero molto “capitalista” per un regime socialista. «Beh, anche un regime socialista dovrebbe avere la capacità di adattarsi ai tempi che cambiano». Tra l’eco del passato e un futuro «all’occidentale» ancora tutto da inventare, l’isola si prepara ad accogliere il suo presidente. A lui il compito di scrivere un nuovo pezzo di storia. Por Cuba.

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