venerdì 9 dicembre 2016
Il corridoio ad Aleppo «salva» 8.000 assediati
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Undici sono morti prima che i soccorritori riuscissero a portarli via. Uccisi dalla mancanza di cibo, medicine o per le ferite riportate nei combattimenti. Gli altri 148, invece, sono stati salvati in extremis dalla Croce Rossa. L’organizzazione, insieme alla corrispondente Mezzaluna Rossa siriana, ha approfittato di una pausa nei bombardamenti che, da settembre, martellano Aleppo est, per farli uscire dalla cittadella. Là, in un ex casa di riposo, si erano rifugiati malati, disabili, orfani. Man mano che i raid si sono intensificati, la struttura, incastonata in una delle viuzze-serpentina del centro storico, si è trasformata in una trappola letale. All’inizio della settimana, una bomba l’ha mancata per un soffio.

Da qui l’urgenza dell’evacuazione. Il salvataggio doveva restare un caso isolato. Poi, ieri, si è aperto uno spiraglio di speranza. Al termine del Consiglio Osce di Amburgo, il ministro degli Esteri russo Sergeij Lavrov ha dato l’annuncio: Damasco e Mosca hanno deciso di fermare i bombardamenti lungo un tratto di cinque chilometri, per consentire l’uscita di 8mila civili. Una colonna sterminata di donne, uomini, bambini che, poco prima, s’era messa in marcia nel tentativo di lasciare i quartieri ribelli, ormai ridotti a un cumulo di macerie.

Le forze di Damasco e Mosca hanno riconquistato il 75 per cento della zona orientale. La città, dunque, non è più spezzata in due, come è rimasta per quattro anni. Restano, però, le ultime sacche di resistenza nella zona sud-orientale. Mentre Fatah al-Sham (l’ex al-Nusra) giura di battersi fino alla morte, le componenti laiche dell’opposizione sarebbero disposte a una forma di accordo in cambio di una via d’uscita. Anche, perché nella zona sono intrappolati ancora 100mila civili. È questo il nodo centrale delle trattative condotte da giorni dalla comunità internazionale per convincere un riluttante Assad a concedere una tregua. Irritato per il rifiuto di accettare la proposta di amnistia in cambio della smobilitazione di sette mesi fa, quest’ultimo si era detto ancora ieri contrario alla concessione di un corridoio umanitario, perché «avvantaggerebbe i terroristi ».

Nell’intervista al quotidiano statale al-Watan, il leader ha dato per certa la vittoria ad Aleppo. Anche se – ha precisato – ciò «non significa la fine della guerra in Si- ria. Prima le altre zone devono essere liberate ». La Russia, invece, è stata fin dall’inizio più morbida, anche a causa delle forti pressioni dell’Occidente. Il Cremlino sta conducendo una duplice trattativa – con Ankara e con Washington – per trovare una soluzione “accettabile”. Ad Amburgo, negli ultimi giorni, Lavrov ha incontrato più volte il segretario di Stato Usa, John Kerry. Al contempo, c’è stata una serie di riunioni con i responsabili Onu. In questo contesto è maturata la svolta di ieri. A cui si somma un altro passo avanti.

Le Nazioni Unite hanno ricevuto l’assenso del governo siriano a portare aiuti nei quartieri ribelli. Non è stato specificato, però, come e quando i soccorsi potranno avere accesso ad Aleppo est. L’intervento è urgente. Secondo l’ultimo bollettino del presidente del Consiglio locale della “città martire”, oltre 800 persone sono state uccise negli ultimi 26 giorni di raid, 300 in più rispetto alle cifre dell’Osservatorio per i diritti umani, Ong con sede a Londra vicino all’opposizione. Altri 3.500 sono rimasti feriti. In soli dieci giorni – ha dichiarato il rappresentante Unicef in Siria, Hanaa Singer – almeno 31.500 persone sono sfollate dalla parte orientale. Più della metà sono bambini. Tanti, tantissimi sono ancora dentro. E, secondo l’Unicef, i quartieri ribelli sono solo una delle sedici zone sotto assedio nella guerra civile siriana, in cui sono intrappolati mezzo milione di bimbi.

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