martedì 27 ottobre 2020
Il fronte del cambiamento ha trionfato con il 78,3%, con 50 punti di distacco. Per la prima volta nella storia cilena a scrivere la legge fondamentale saranno dei cittadini scelti con il voto popolare
Sostenitori della riforma costituzionale in Plaza Italia a Santiago del Cile

Sostenitori della riforma costituzionale in Plaza Italia a Santiago del Cile - Ansa

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La porta è aperta. Il cammino verso una nuova Costituzione è cominciato. La strada si profila lunga e complessa. Le premesse, però, sono incoraggianti. Su tale punto concorda buona parte degli analisti per i quali due sono le variabili per valutare l’esito del referendum di domenica – el Plebiscito –, al di là della prevedibile vittoria del via libera alla riscrittura della Magna Carta. Primo, lo scarto tra favorevoli e contrari. Secondo, l’affluenza alle urne. Elementi entrambi fondamentali per garantire legittimità al «nuovo corso» con cui le forze politiche, in uno storico accordo tra centro–sinistra e centro–destra, hanno cercato di dare uno sbocco istituzionale alle proteste di un anno fa.Il fronte del sì ha trionfato con il 78,3 per cento, oltre 50 punti di stacco sullo schieramento rivale.

Schiacciante anche – 79% – il successo della proposta di una Costituente eletta, rispetto all’ipotesi di un’Assemblea mista, formata anche da parlamentari. Per la prima volta nella storia cilena, dunque, a scrivere la legge fondamentale saranno dei cittadini scelti con il voto popolare. La partecipazione, inoltre, è stata intorno al 50 per cento, nonostante i limiti imposti dal Covid che ha colpito oltre mezzo milione di cileni e ne ha uccisi quasi 14mila. Risultati affatto scontati. Fino all’ultimo la forbice dei favorevoli variava tra il 55 e il 75 per cento. La grande incognita era, poi, l’astensione, alta nelle ultime consultazioni, fino al record del 64 per cento alle municipali del 2016. Stavolta, invece, la gente si è presentata in massa ai seggi, seppur con guanti e mascherina, come mostrano le foto di file «distanziate ». «La cittadinanza, la democrazia e la pace hanno trionfato sulla violenza», ha dichiarato il presidente Sebastián Piñera. Tra i molti messaggi di congratulazioni, anche quello dell’Italia che ha definito il referendum «un grande momento di coesione».


11 aprile 2021
I cileni dovranno eleggere i 155 rappresentanti della Costituente. La metà dovranno essere donne


2 Maggio 2021
La Costituente comincerà a scrivere il nuovo testo della Carta, che dovrà essere terminato entro nove mesi

Secondo semestre 2022
La nuova Carta dovrà essere sottoposta a un referendum di ratifica, obbligatorio, per poter entrare in vigore

Un esito su cui non tanti avrebbero scommesso nell’ottobre 2019 quando le manifestazioni contro un rincaro minimo del prezzo del biglietto della metro si sono trasformate in una contestazione a tutto campo della diseguaglianza, tuttora a livelli inaccettabili nonostante la crescita economica. Nel mirino della piazza ben presto è finita la Costituzione, redatta durante la dittatura di Augusto Pinochet. Il testo originario, del 1980, è stato modificato una quarantina di volte dal ritorno della democrazia nel 1990. I punti più controversi – dai senatori designati all’inamovibilità del capo delle forze armate – sono stati eliminati. Il suo impianto fortemente liberista – che relega lo Stato a un ruolo marginale rispetto al mercato nella gestione dei servizi pubblici –, però, si è conservato. A livello simbolico, inoltre, l’ombra del generale non ha mai smesso di aleggiare sulla Carta, rappresentandone un «difetto congenito», per utilizzare l’espressione del politologo e consulente Onu, Gabriel Negretto. La richiesta di «cambiare le regole del gioco» è emersa a più riprese nell’ultimo quindicennio. L’opposizione del centro–destra aveva sempre, però, sbarrato la strada alla riforma. Fino al 15 novembre 2019, quando il conservatore Piñera ha ceduto, annunciando il referendum. In seguito, anche la destra moderata, – oltre il centro e la sinistra – si è schierata per la nuova Costituzione, isolando i “nostalgici”. Il motore del sì, però, non sono stati i partiti tradizionali, screditati dagli scandali di corruzione, bensì i movimenti civili. Ora, in ogni caso, sia le differenti forze politiche classiche sia la cittadinanza organizzata dovranno riuscire a cooperare per gestire il post–Plebiscito. Un momento delicato e articolato in varie fasi. Il prossimo 11 aprile ci sarà il voto dei 155 rappresentanti della Costituente, la quale dovrà terminare il testo – approvato a maggioranza di due terzi – entro i successivi nove mesi. Poi, i cittadini saranno chiamati per la ratifica definitiva. Fondamentale, in ognuna delle tappe, riuscire a contenere la violenza delle minoranze radicali che cercano di boicottare il processo. «È necessaria un’unità di intenti per continuare nella costruzione di un Paese migliore, poiché il processo costituente a necessità di ciascuno di noi», ha scritto, in un comunicato, la Conferenza episcopale cilena. La scommessa è ardua. Se il «metodo cileno» avrà successo potrebbe rappresentare un modello per l’attuale turbolenza latinoamericana. E non solo.

Il precedente del 1988: un no deciso alla dittatura

Il 5 ottobre 1988, i cileni sono stati chiamati alle urne dal dittatore Augusto Pinochet per decidere sulla possibilità di continuare l’esperienza autoritaria o avviare la transizione verso la democrazia. Il no al regime ha vinto con il 56%, contro il 44% dei favorevoli al generale. Il Paese ha messo fine a quindici anni di dittatura in modo incruento, diventando un esempio per il mondo.

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