domenica 2 settembre 2018
Feste di quartiere nelle zone a più alto tasso di omicidi. Anche le chiese locali hanno raccolto la sfida. «Qui è più facile trovare una pistola che un lavoro»
I giovani di "I am for peace" sfilano per le strade di Chicago: nella città, si stima, le vittime della violenza saranno seicento entro la fine dell'anno

I giovani di "I am for peace" sfilano per le strade di Chicago: nella città, si stima, le vittime della violenza saranno seicento entro la fine dell'anno

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«A Chicago è più facile trovare una pistola che un lavoro. C’è da stupirsi che i ragazzi si arruolino in una gang?». Razia Hutchins, studentessa dell’ultimo anno di liceo «nel ghetto», dice, di Englewood, conosce da sempre lo sconforto che spinge molti suoi coetanei nelle braccia delle bande criminali. «Per anni mi sono addormentata al suono di spari e sirene. Più di una volta ho visto il pianto di una madre che aveva appena trovato suo figlio crivellato per strada», racconta la ragazza, camminando per il South Side e fermandosi ogni tanto a salutare i ragazzi afroamericani che offrono pillole di fentanyl ed eroina agli angoli.

«Nel mio quartiere – continua –, i giovani non sognano. Il sogno è inutile perché non sappiamo se arriveremo a domani. Andare a scuola spesso è come andare a un funerale. Quasi ogni giorno c’è qualcuno che conosce qualcuno che è stato ucciso. La stabilità mentale mia e dei miei amici è precaria. Viviamo in una zona di guerra». Siamo a meno di dieci chilometri dalla villa milionaria di Barack Obama a Hyde Park e dal lungofiume punteggiato di grattacieli che il sindaco Rahm Emanuel ha trasformato in un gioiello di rinnovamento urbano. Ma Englewood, come New City, Austin, West Garfield Park e il South Side di Chicago in generale, sono un altro mondo. Davanti a una casa bifamiliare con le finestre coperte da assi di legno e la scala sfondata, un supporto di polistirolo recita, in vernice rossa: «Non sparate per favore, ci sono dei bambini». Una macchina della polizia svolta lentamente nella via, ma sui marciapiedi non si incrocia nessuno dei tanti agenti a piedi pronti ad aiutare passanti e turisti negli angoli più sicuri e conosciuti della metropoli.

Qui una manciata di quartieri, dove vive l’8% della popolazione della città, fa da teatro a un terzo dei suoi omicidi. Che da tre anni rimangono ai massimi storici, sfiorando i 500 e battendo record dopo record. «Quando non sei niente, l’unico modo per diventare qualcosa è prendere in mano una pistola», dice Maurice Young, un altro ragazzo della “Generazione Z” di Chicago (i giovani fra i 13 e i 15 anni di età circa) che ha dovuto perdere la speranza per poterla ritrovare, attraverso l’attivismo che contraddistingue molti dei suoi coetanei. Un giorno Maurice si è svegliato con la notizia che più di cento persone erano state colpite da proiettili nella sua città durante il fine settimana, 15 fatalmente. Ma l’allora 14enne ha scrollato le spalle. «Mi ci ero abituato – spiega –. Dopotutto anch’io avevo schivato le pallottole già cinque volte. Poi mi sono detto che non potevo vivere così. Non potevo permettere al cinismo di controllare la mia vita». Maurice, con Razia Hutchins e altri amici, pochi giorni dopo ha deciso di scendere in piazza e di sfilare contro la violenza armata nel cuore del territorio delle gang. La prima marcia si è tenuta l’ultimo giorno di scuola del 2014, come augurio di un’estate sicura per tutti gli studenti. Ma nel corso delle vacanze ce ne sono state altre, e molte di più, spesso spontanee, durante l’anno. Un movimento era nato. I ragazzi lo hanno chiamato come lo slogan della prima manifestazione: «I Am For Peace» (Io sono per la pace) e lo hanno visto crescere e raccogliere in un breve lasso di tempo adesioni, fondi e attenzione a livello nazionale.

«Molti adulti ci hanno chiamati coraggiosi, ma quando perdi la speranza a 14 anni perdi anche la paura. Non hai più niente da perdere», spiega Maurice.

La stessa forza della disperazione ha avvicinato al progetto decine di ragazzi che erano stati feriti in una sparatoria, o che facevano parte di una gang e volevano uscirne. «Solo un paio di mesi fa, un giovane di 25 anni è stato ucciso in questo isolato – spiega Berto Aguayo, in piedi fuori da una chiesa nel quartiere prevalentemente ispanico di Back of the Yards, nel South Side –. Vivo qui. Fino a due anni fa ero un membro di una gang. Ho perso amici per colpa della violenza. Il primo quando avevo 13 anni. E la mia storia è tipica di chi cresce nel South Side. La morte è una paura costante».

Berto, che ha 18 anni, si è impegnato a tenere lontana la paura. Da due estati organizza una serie di feste di quartiere che hanno riempito l’aria del suono di tamburi invece che di spari. Gli eventi non erano «contro» le gang, dice, ma un modo per «aumentare » la pace. «È un’idea che mi è venuta nell’ottobre 2016, quando una ragazza di 16 anni è stata uccisa davanti alla chiesa. Io e i miei amici più stretti ci siamo trovati praticamente costretti a prendere una posizione. Non potevamo più tollerare le violenze a cui stavano assistendo».

La nuova campagna, “Aumenta la pace”, è in breve confluita nel movimento “I am for peace”, unendosi per mantenere una presenza costante sulle strade. «Abbiamo cominciato ad accamparci venerdì sera con i nostri strumenti musicali là dove avviene lo spaccio e dove quasi ogni fine settimana qualcuno perde la vita – dice Berto –. Era un rischio, ma lo facciamo per stare uniti, avere una presenza positiva e promuovere la pace».

Le chiese locali hanno raccolto la sfida, rimanendo aperte la sera e invitando i giovani, cattolici e non, a ritrovarsi sulle loro scalinate per fare musica. «Riunire le persone, senza escludere nessuno, ci ha fatto capire che vogliamo tutti la stessa cosa: far smettere lo spargimento di sangue – spiega padre Hugo León Londoño, parroco della chiesa di Saint Joseph – . L’isolamento e il sentirsi respinti spingono troppi giovani a prendere in mano una pistola».

Negli ultimi 12 mesi, con l’appoggio di altre organizzazioni comunitarie, il movimento “I am for peace” si è articolato. Da un anno è partito un programma di attività extra-scolastiche per i giovani a rischio, durante le quali i ragazzi praticano sport che insegnano l’autodisciplina e permettono di sfogare l’aggressività, come il pugilato e le arti marziali. C’è poi il sostegno allo studio. I fondatori hanno convinto alcuni istituti superiori a non chiudere al pomeriggio per ospitare lezioni private offerte da volontari a chi ha difficoltà e a chi non ha nessuno a casa dopo la scuola. Il programma, partito grazie alle donazioni di cittadini abbienti di Chicago, come Jennifer Hudson, aiuta anche i liceali a presentare domanda all’università e li assiste a livello finanziario. Oltre trecento studenti hanno aderito, facendo di “I am for peace” una delle organizzazioni no-profit più importanti di Chicago.

Intanto le marce sono continuate. Il primo giorno del nuovo anno scolastico, migliaia di persone provenienti da tutti gli Stati Uniti hanno sfilato a Englewood. «La violenza armata non uccide solo le persone, ma anche la speranza di Chicago – conclude con amarezza Razia –. Anche se non abbiamo messo fine alle sparatorie, so che stiamo facendo qualcosa. Molti ragazzi mi hanno detto di essere stati ispirati da noi a fare gesti pacifici nella loro strada, o a consegnare una pistola illegale alla polizia. La violenza armata non scomparirà domani o la prossima settimana, ma succederà, e il cambiamento dipende da noi».

(4. Fine. Le precedenti puntate sono state pubblicate il 6 maggio e il 3 e 17 giugno 2018)

LE PUNTATE PRECEDENTI:

Armi e clima, è la «Generazione Z» l'America che dice no, di Elena Molinari inviata a Newhaven (Connetticut), 6 maggio

Clima, 21 ragazzi fanno causa a Trump, di Elena Molinari inviata a Eugene (Oregon), 3 giugno

Usa, i ragazzi in rivolta: «I nostri compagni non li deporterete», di Elena Molinari inviata a Oakland (California), 17 giugno



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