sabato 15 ottobre 2022
Il potere di fatto è nella mani della gang che paralizzano il Paese. Le scuole non hanno potuto riaprire. E perfino alcuni reparti degli ospedali hanno dovuto chiudere
Haiti vive una situazione di grave carestia

Haiti vive una situazione di grave carestia - Reuters

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«Carestia». A pronunciare questa parola, riferita al contesto haitiano, è Ulrika Richardoson, coordinatrice umanitaria dell’Onu nell’isola. È la prima volta che la fame cronica del Paese più povero d’Occidente raggiunge il “livello 5”, quello massimo definito dagli standard internazionali. Lo ha confermato una recente rilevazione delle Nazioni Unite realizzata a Cité Soleil, il più grande slum di Port-au-Prince. Quasi ventimila persone della baraccopoli hanno raggiunto «condizioni catastrofiche» di insicurezza alimentare: quando va bene, cioè, consumano un pasto al giorno privo di nutrimenti essenziali. Ed è a malapena la punta dell’iceberg. La metà degli abitanti – 4,7 milioni – sono alla fame, di questi, almeno 1,8 milioni, in modo grave. Dati allarmanti perfino per una nazione “assuefatta” alle calamità naturali e umane come Haiti. «Stavolta siamo al punto di rottura», sostengono fonti Onu. È il prodotto di multiple crisi, in corso da oltre un anno, che si sono saldate in un mix perverso.

La violenza delle bande paralizza l'isola

La violenza delle bande paralizza l'isola - Reuters


Il governo è guidato dall’impopolare Ariel Henry, subentrato al presidente ucciso il 7 luglio 2021. A parte dieci senatori non scaduti e il presidente della Camera alta, Joseph Lambért, non ci sono politici eletti. E Henry, finora, ha rifiutato la proposta di un gruppo formato da opposizione e società civile – il cosiddetto Montana, dal nome dell’albergo dove è nata la coalizione – di creare un esecutivo di transizione. Nel frattempo, il potere reale è in mano alle bande criminali. In particolare, al boss Jimmy Chérizier, alias “Barbecue”. La sua gang, “G9 an fanmi ak alye”, controlla il terminale petrolifero di Varreux, nel porto della capitale e blocca la distribuzione del carburante, rivenduto al mercato nero. Il Paese è rimasto senza energia, la cui produzione dipende quasi totalmente dal combustibile. La decisione del governo di eliminare i sussidi su quest’ultimo, poco più di un mese fa, ha fatto esplodere la protesta sociale: omicidi, sequestri e stupri sono all’ordine del giorno. A Port-au-Prince nascono quotidianamente nuovi campi spontanei di sfollati in fuga dai quartieri presi in ostaggio dalle bande. Il risultato è una nazione paralizzata. La riapertura delle scuole, prevista il 3 ottobre, è stata rinviata a data da destinarsi. Uffici e perfino alcuni reparti degli ospedalieri hanno dovuto chiudere i battenti per mancanza di elettricità. Quello stesso giorno, è stato certificato il ritorno del colera. Le vittime registrate sono qualche decina e i casi alcune centinaia ma con gran parte dell’isola irraggiungibile per la violenza è impossibile avere cifre precise.

La rivolta rischia di diventare generalizzata

La rivolta rischia di diventare generalizzata - Ansa


In questo scenario tragico, è arrivata la richiesta di Henry di dispiegare una forza internazionale per ripristinare le condizioni minime di sicurezza. L’Onu è favorevole e la prossima settimana la questione sarà esaminata in Consiglio di sicurezza. Data la scarsa efficacia delle recenti missioni internazionali, tuttavia, la mossa del governo suscita polemica. Molti esperti sostengono che si tratti di una mossa del presidente per restare al comando. È noto che le gang siano finanziate da esponenti politici che li utilizzano come eserciti privati. Varie fonti accusano Henry di aver fomentato intenzionalmente il caos – e il suo principale artefice, Barbecue, – per posticipare le elezioni. La situazione sembra, però, essere sfuggita completamente di mano. E lo spettro di un bagno di sangue aleggia sull’isola.

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