venerdì 20 dicembre 2019
La missione Minustah, durata 11 anni e conclusa nel 2017, è di nuovo al centro delle polemiche. Madri e figli abbandonati in miseria
Bambini ad Haiti in una foto d'archivio (Ansa)

Bambini ad Haiti in una foto d'archivio (Ansa)

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Un nuovo scandalo colpisce la missione di stabilizzazione Onu ad Haiti (Minustah), chiusa nel 2017 dopo undici anni di presenza nell’isola. Uno studio, pubblicato dalla prestigiosa rivista accademica internazionale Conversation, ha fatto esplodere il caso dei “figli delle Nazioni Unite”.

Ovvero bambini nati da abusi inflitti dai caschi blu a ragazzine giovani e giovanissime, alcune perfino 11enni. Relazioni indotte con la forza o il ricatto – alle adolescenti venivano promessi cibo e medicine –, da cui sono venuti al mondo centinaia di bimbi, poi abbandonati dai padri, rimpatriati dopo la scoperta della gravidanza.

Le ricercatrici Sabeen Lee e Susan Bartels hanno intervistato un campione di 2.500 ragazze in varie baraccopoli delle principali città. Oltre il 10 per cento di queste – 265 – hanno riportato storie di “figli delle Nazioni Unite”. Molte erano in prima persona.

La Minustah è stata una delle missioni Onu più controverse. Già nel 2017, l’Associated Press aveva denunciato abusi su nove ragazzine da parte di 234 peacekeepers, avvenuti tra il 2004 e il 2007. Poi, c’è stato l’affaire del colera, la cui epidemia post-terremoto è stata provocata involontariamente da alcuni caschi blu. Ora la nuova denuncia. Le Nazioni Unite sarebbero state al corrente delle gravidanze e, ogni volta, avrebbero provveduto al rimpatrio del casco blu coinvolto. Ad Haiti – il Paese più povero dell’emisfero occidentale –, madre e figlio restavano in miseria.

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