martedì 3 gennaio 2023
Uno dei cavalli di battaglia della campagna pro-Brexit era stato l’investimento nella sanità dei soldi risparmiati dei contributi Ue. Ma non è stato così
Paramedici inglesi in sciopero

Paramedici inglesi in sciopero - Reuters

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Il penultimo giorno del 2022, un disabile , di cui non è si fa il nome per questione di privacy, affetto da una grave forma di epilessia, ha atteso per 36 ore su una sedia del pronto soccorso del Grange Hospital, vicino a Torfaen, prima di essere soccorso. A denunciarlo è stato David Williamns, responsabile della sua assicurazione sanitaria.

Una settimana prima, nel Galles del nord, una paziente di 47 anni con un forte dolore lombare e intorpidimento in entrambe le gambe ha atteso dodici ore in un’ambulanza prima di essere portata da un medico.

Due esempi eloquenti di quella che, il Royal College di Emergency Medicine (Rcem) ha definito la «completa crisi» di alcuni reparti di pronto soccorso degli ospedali britannici. Una situazione che, secondo il vice-presidente, Ian Higginson, mette «indubbiamente a rischio i malati». Il presidente, Adrian Boyle, aveva stimato di una quota di almeno 300 alla settimana, i decessi causati da disfunzioni e ritardi. Influenza e Covid hanno creato una pressione forte sul sistema sanitario nazionale.

Questo, però, non è sufficiente a spiegare il «peggior inverno di sempre» – parole del Rcem – del sistema di emergenza britannico. Secondo Higginson, la crisi non è una sorpresa, ma il risultato di una serie progressiva di tagli frutto di una visione della cura come investimento su alcuni invece che diritto per tutti. Le conseguenze erano già emerse in piena pandemia con lo scandalo dei pazienti assistiti in ordine di età o addirittura per sorteggio.

Ora il nodo è venuto al pettine. Anche perché nel frattempo la carenza di staff è cresciuta fino agli attuali 133mila operatori mancanti. Una ricerca dell’Emergency medical journal ha rilevato che una persona ogni 82 fra quelle curate con più di sei ore di ritardo, muore entro i successivi 30 giorni. Al momento, in base a dati ufficiali, un malato su tre attende l’ambulanza oltre trenta minuti e fa una fila di più di quattro ore al pronto soccorso.

Unicamente i più gravi, infine, vengono ricoverati e quattro su dieci aspetta il letto per oltre quattro ore. Solo a novembre, però, per 37mila la fila è stata di almeno 12 ore, il triplo rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Lo scenario ha spinto i Liberal Democrats a chiedere una convocazione urgente del Parlamento e a intimare al premier Tory Rishi Sunak di attuare un piano di emergenza.

Quest’ultimo ha ribadito che il «governo sta facendo il possibile» e ha annunciato finanziamenti per l’equivalente di circa 560 milioni di euro per gli ospedali e 160 milioni per le ambulanze.

La tensione, però cresce nel clima generale di scioperi per gli aumenti salariali. Il 18 e il 19 gennaio le infermiere si asterranno di nuovo dal lavoro mentre mercoledì e giovedì della prossima settimana toccherà ai paramedici delle ambulanze.

In questo contesto, non sorprende che il 65 per cento dei britannici abbia un ripensamento sul divorzio dall’Ue, per il quale gli analisti hanno coniato l’espressione “Bregret”. In base a un sondaggio recente, oltre sei cittadini su dieci sono detti favorevole a un nuovo referendum sulla questione.

Uno dei cavalli di battaglia della campagna pro-Brexit era stato l’investimento nella sanità dei soldi risparmiati dei contributi Ue. Evidentemente non è stato così.

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