domenica 1 maggio 2022
Un tempo ricchi e potenti, ora morti, vittime di una lunga scia di sangue che molto spesso riconduce al business più importante della Russia: il gas
Gazprom e la catena di suicidi: il giallo dei «super manager»

Ansa

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Un tempo ricchi e potenti, ora morti, vittime di una lunga scia di sangue che molto spesso riconduce al business più importante della Russia: il gas. Le persone decedute sono state figure chiave di Gazprom, il colosso del gas da cui dipende l’approvvigionamento energetico di mezza Europa, ma non solo. In poco più di tre mesi sono morte almeno sei figure chiave all’interno del mondo economico e finanziario russo. Sulla carta, sono tutti suicidi. Gesti drammatici, che in qualche caso si trasformano in vere e proprie stragi familiari, con il coinvolgimento di moglie e figli, ma sui quali sorgono diversi interrogativi.

La serie di suicidi è passata molto sotto traccia sui media russi, ma non sui canali social delle testate indipendenti, che stanno continuando a cercare di fare informazione nonostante la censura. Il legame però di queste morti con il mondo del gas è stato ampiamente sottovalutato. Il primo suicidio sospetto è stato quello di Leonid Shulman, 60 anni, capo del servizio di trasporto di Gazprom Invest, che si è ucciso a fine gennaio. Lo hanno trovato nel bagno della sua villa nella regione di Leningrado, in un villaggio categoria extra lusso. Di fianco, un biglietto in cui si lamentava del dolore provocato dalla gamba rotta. Il secondo suicidio è quello Aleksandr Tjuliakov, 61 anni, ex vicedirettore generale della tesoreria di Gazprom. Come Shulman viveva nella regione di Leningrado. L’uomo si è tolto la vita impiccandosi.

Di fianco al suo cadavere è stato trovato un biglietto, di cui però non è stato rivelato il contenuto. Fra febbraio e marzo, sono morti Michael Watford, oligarca di 66 anni che viveva nel Surrey e Vasily Melnikov, uomo d’affari nel campo medico, trovato morto a Nizhny Novgorod insieme con la moglie e i due figli. Il vero nome di Watford era Mikhail Tolstosheya, le origini della sua fortuna erano legate alla produzione di petrolio e gas. All’inizio degli anni 2000 era emigrato, come tanti altri oligarchi, nel Regno Unito, dove aveva cambiato cittadinanza e nome, pronto per una nuova vita, anche professionale, visto l’ingresso nel settore immobiliare. Le prime dichiarazioni della polizia inglese bollano la sua morte come «inspiegabile».

L’ipotesi del suicidio ha iniziato a circolare solo in un secondo momento. Nel secondo caso non è stato ancora chiarito chi abbia sterminato la famiglia e soprattutto perché. Il 18 aprile Vladislav Avaev, 51 anni e vicepresidente della Gazprombank, ha ucciso la moglie per gelosia, ammazzando anche la figlia di appena 13 anni e poi si è tolto la vita. La vicenda ha trovato ampia eco sui media russi, ma solo per il movente passionale della tragedia, a cui hanno creduto tutti.

Questo nonostante Igor Volobuev, altro top manager di Gazprombank, che ha lasciato la Russia subito dopo lo scoppio della guerra, abbia dichiarato senza troppi mezzi termini che Avaev potrebbe essere stato ammazzato. Il 21 aprile in Spagna, Sergeij Protosenya, top manager di Novatek, secondo colosso dell’energia in Russia dopo Gazprom è stato trovato morto nella sua villa. Le autorità spagnole hanno parlato di strangolamento. Poco lontano dal suo cadavere c’erano quelli della moglie Natalya e della figlia di 18 anni, che presentavano ferite di arma da taglio.

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