martedì 15 febbraio 2022
A cinque anni dalla morte del sacerdote, la Corte è riunita da ieri. Alla sbarra i complici dei due killer del Daesh uccisi dopo l’assalto in chiesa
Padre Jacques Hamel

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Non sarà un processo come gli altri, perché quella ferita di un quinquennio fa brucia ancora come una spaventosa pugnalata appena inferta alla Francia e all’Europa. Da ieri, la Corte d’assise speciale di Parigi si è riunita per giudicare quanto accadde quel 26 luglio 2016, quando i francesi appresero con sgomento del barbaro assassinio di padre Jacques Hamel, 85 anni, nel corso della Messa, presso la Chiesa di Santo Stefano a Saint-Étienne-du-Rouvray, nella periferia di Rouen, in Normandia. «Vattene Satana, lontano da me Satana », furono le sue ultime parole, ai piedi dell’altare. Nell’attentato, venne pugnalato pure il parrocchiano Guy Coponet, oggi 92enne e ancora provato nel corpo dalle conseguenze dell’assalto, ma deciso lo stesso a testimoniare al processo. Monsignor Dominique Lebrun, arcivescovo di Rouen, sarà presente come parte civile, a nome della diocesi.

I due accoltellatori 19enni affiliati al Daesh, Adel Kermiche e Abdel-Malik Petitjean, vennero uccisi dalla polizia. Ma il processo cercherà di ricostruire con precisione l’itinerario dei due jihadisti, entrati in contatto per la prima volta solo nella notte fra il 21 e il 22 luglio, su Telegram, prima d’incontrarsi in Normandia a ridosso di un primo tentativo comune di penetrare, il 25 luglio, nella chiesa designata come bersaglio, trovata quel giorno chiusa.

Accusati d’aver aiutato gli assassini, tre imputati saranno invece alla sbarra: Farid Khelil, 36 anni, Yassine Sebaihia (27), Steven Jean-Louis (25), che rischiano fino a 30 anni di prigione, anche per propaganda jihadista e per diversi tentativi di recarsi in Siria. Inoltre, verrà giudicato in contumacia il presunto mandante dell’attentato, Rachid Kassim, fra i teorici della “guerra di religione” del Daesh, probabilmente ucciso a Mosul nel corso di un’incursione compiuta con droni da combattimento. Il verdetto è atteso il mese prossimo.

«Abbiamo fiducia nell’istituzione giudiziaria: bisogna fare giustizia e conoscere la verità», ha dichiarato ieri padre Hugues de Woillemont, portavoce della Conferenza episcopale francese: «È necessario per la famiglia di padre Jacques Hamel, per chi ha vissuto queste tragiche ore. È necessario anche per gli accusati e i loro familiari. La verità permetterà giustizia. Verità e giustizia sono necessarie a tutti per avanzare, alle vittime e agli accusati».

La causa di beatificazione di padre Hamel è all’esame della Congregazione delle cause dei Santi, dopo la conclusione della fase diocesana nel marzo 2019, con la costituzione di un dossier di oltre 11mila pagine. Con queste parole, il portavoce episcopale francese ha evocato ieri l’eredità del sacerdote: «La morte di padre Hamel resta una grande sofferenza per molti. Ma la sua vita e il suo martirio portano frutto. Padre Jacques Hamel rimarrà per i sacerdoti di Francia un bell’esempio di vita sacerdotale che si dona. Resterà per i cristiani il testimone di una carità offerta a tutti, un servitore umile e generoso fino all’ultimo. La sua vita e la sua morte risuonano per il nostro Paese come un appello alla fedeltà e alla fraternità, perché il male non abbia l’ultima parola».

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