mercoledì 6 ottobre 2021
L’ex manager Haugen contro il social network: «Il Congresso agisca». Zuckerberg si scusa dopo il blackout di lunedì, costato 6 miliardi di dollari. Ieri nuova impennata delle azioni a Wall Street
Facebook, la resa dei conti in Senato. La testimone: «Danneggia i minorenni»

Reuter

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Al Congresso Usa si parla di «ora della verità» per i colossi di Internet. Di resa dei conti, come è successo a suo tempo per l’industria del tabacco. È davvero così? Il blackout di Facebook, Instagram, Messenger e Whatsapp che ha coinciso con le accuse della «talpa» del regno di Zuckerberg rende legittimo avere qualche dubbio. Con tre miliardi di utenti sconvolti dall’interruzione di un servizio sul quale fanno affidamento quotidianamente per comunicare e divertirsi, il gigante dei social ha una potenza inaudita.

Non a caso, negli ultimi anni si è mostrato più forte di multe per l’uso irresponsabile di dati personali e di indagini dell’Antitrust, resistendo alla sola misura che potrebbe modificare il suo operato: una regolamentazione stringente del contenuto che circola sulle sue piattaforme.

È proprio questo che ha chiesto ieri al Senato Frances Haugen, la manager di Facebook che ha lasciato l’azienda questa primavera portando con sé migliaia di documenti interni.

«Sono qui perché credo che i prodotti di Facebook danneggino gli adolescenti, seminino divisioni e indeboliscano la nostra democrazia», ha esordito l’ex dirigente in audizione a Capitol Hill, sostenendo di non credere che Facebook sospenderà Instagram Kids, la sua piattaforma per gli utenti adolescenti, e invitando il governo ad agire. Perché l’autoregolamentazione, ha detto, finora non è servita a nulla.

Secondo i file resi noti da Haugen, infatti, Facebook è perfettamente consapevole che la salute mentale degli adolescenti è danneggiata da Instagram, che possiede («Gli adolescenti incolpano Instagram per l’aumento del tasso di ansia e depressione», afferma una diapositiva di una presentazione interna), ma non ha fatto nulla.

Facebook inoltre sa che il suo algoritmo, sul quale ha costruito il suo modello di business, privilegia ed evidenzia contenuti che si basano sulla rabbia e l’indignazione per tenerli impegnati e fare clic. «Disinformazione, tossicità e contenuti violenti sono eccessivamente prevalenti tra le ricondivisioni», hanno concluso i suoi stessi scienziati, secondo documenti interni.

Haugen dunque «implora» il governo e il Congresso di fare qualcosa e di non fidarsi delle promesse di Zuckerberg, che, se lo avesse voluto, avrebbe già potuto agire, grazie al suo controllo sproporzionato su Facebook, del quale detiene oltre il 55%.

La campagna denigratrice di Facebook è già cominciata: «Frances Haugen non ha lavorato sulla sicurezza dei bambini o su Instagram o sulle ricerche», ha precisato (via Twitter) il portavoce dell’azienda, Andy Stone. Intanto le azioni dell’azienda ieri tornavano a salire a Wall Street, più sollevata che il blackout durato più di sei ore sia finito che preoccupata degli effetti della testimonianza in corso a Washington. Ieri infatti Zuckerberg (che lunedì aveva perso 6 miliardi per il crollo della società in Borsa) si è scusato per il problema, provocato da modifiche alla configurazione nei router principali, ma non ha fatto alcun riferimento alle accuse mosse dalla «talpa».

Sta ora ai parlamentari Usa, e allo stesso presidente americano, decidere se dare seguito alle accuse o permettere che le cose continuino come sono, lasciando circolare liberamente l’odio, le bugie e gli stereotipi tossici che tengono gli utenti incollati ai social.

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