lunedì 16 novembre 2020
Su di loro ricade il maggior peso, secondo il nuovo We World Index: due Paesi su tre non garantiscono piena integrazione
L'odissea quotidiana dei bimbi per andare a scuola in Sud Sudan

L'odissea quotidiana dei bimbi per andare a scuola in Sud Sudan - Reuters

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Due Paesi su tre non sono in grado di garantire piena inclusione a donne e bambini, in un terzo di questi la situazione è drammatica. E il numero è in crescita: più 5 per cento rispetto al 2015. Di questo passo, entro il 2030, avremo altre 26 nazioni sotto la media.

Il Covid ha avuto un forme impatto sul peggioramento, limitando ulteriormente il diritto all’istruzione dei più vulnerabili. Sono questi i principali risultati della nuova edizione di We World Index, che verrà presentato domani alle 15 in un evento via streaming a cui parteciperà anche la vice-ministra degli Esteri, Emanuela Del Re e a cui Avvenire ha avuto accesso in anteprima.

La classifica di 172 Stati vede ai vertici, per capacità di integrazione, Norvegia, Finlandia Islanda e Svezia. In ultima posizione il Sud Sudan, preceduto da Ciad e Centrafrica. Centrale per evitare l’esclusione la formazione che, però, quest’anno è stata limitata dalla pandemia. Dallo scorso marzo, la chiusura di scuole e università ha lasciato a casa, per un periodo più o meno prolungato, il 91 per cento della popolazione studentesca mondiale. I programmi di lezioni a distanza, attivati per fronte alla crisi, hanno evidenziato la diseguaglianza di accesso ad Internet nel pianeta e all’interno delle singole nazioni. A livello globale, poco più di una famiglia su due – il 55 per cento – è connessa, nei Paesi più poveri la quota scende a meno del 20 per cento. A questo si aggiunge il fatto, a crisi terminata, con tutta probabilità, almeno undici milioni di adolescenti non torneranno fra i banchi perché obbligate a nozze forzate. “Il blocco dell'istruzione ha avuto un devastante effetto domino con un impatto sociale ed economico di vasta portata su famiglie, comunità e società nel suo insieme, soprattutto per le aree e i gruppi più vulnerabili”, spiega Marco Chiesara, presidente di WeWorld.

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