venerdì 30 ottobre 2020
Le pesanti dichiarazioni del leader turco nei confronti del presidente francese Macron appaiono fomentare ancora di più lo scontro
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan - Ansa foto d'archivio

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L'attentato di Nizza rappresenta l’apice di un’antica contrapposizione tra una visione repubblicana laicista e un’altra islamica radicale in cui finiscono per essere vittime – come accade spesso ultimamente – le esperienze di autentica religiosità come quella cattolica in questo caso.

L’atto primo dell’ultimo crescendo si potrebbe stabilire ai primi di settembre, quando la redazione di Charlie Hebdo decide di ripubblicare le vignette su Maometto all’apertura del processo contro i 14 persone accusate di aver aiutato i responsabili della strage del gennaio 2015.

Reazioni indignate esplodono in tutto il mondo islamico, dall’Università di al-Azhar, che denuncia «una provocazione ingiustificata», alla Guida suprema iraniana che parla di un «peccato imperdonabile».

Contro il giornale satirico francese, che intendeva con il suo gesto riaffermare il diritto alla libertà di espressione, si scaglia anche al-Qaeda. «Se ripeti il crimine, ripeteremo la punizione», la minaccia apparsa sul magazine jihadista “One Ummah”.

Un incitamento, questo, che trova una sua primissima traduzione il 25 settembre, quando un immigrato pachistano accoltella a due giornalisti vicino ai vecchi uffici della redazione di Charlie Hebdo a Parigi.

Il 2 ottobre, il presidente francese tiene un discorso contro la «società parallela», porosa al fondamentalismo e contraria ai valori secolari, in cui vivono molti musulmani francesi. Macron suscita nuove reazioni ostili nel mondo islamico per aver definito l’islam una religione «che oggi vive una crisi in tutto il mondo» e in cui l’ala fondamentalista sta portando avanti «progetti religiosi e politici».

La partita sembra chiudersi in “pareggio” quando Sophie Petronin, la 75enne signora liberata dopo quasi quattro anni di prigionia nelle mani dei jihadisti nel Mali, dichiara di essersi convertita all’islam.

Ma il peggio doveva ancora arrivare. Il 16 ottobre un 18enne rifugiato ceceno aspetta all’uscita dalla scuola media di Conflans Sainte Honorine il professore di Storia Samuel Paty e lo decapita. L’insegnante aveva fatto una lezione sulla libertà di espressione mostrando alcune vignette di Charlie Hebdo.

L’omaggio solenne a Paty, durante il quale Macron ha ribadito la sua «volontà di sconfiggere i terroristi, di mettere a tacere gli islamisti», ma soprattutto la difesa del diritto di satira scatena contro la Francia una nuova levata di scudi guidata dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

Il braccio di ferro tra Parigi e Ankara – che già si giocava in varie parti del Mediterraneo e del Caucaso – si traduce in parole ingiuriose di Erdogan nei confronti del suo omologo francese, che «vorrebbe le Crociate» e che «dovrebbe controllare la sua salute mentale».

La replica arriva con una caricatura irrisoria del presidente turco pubblicata da Charlie Hebdo. Anziché condannare il barbaro assassinio di Paty, molti musulmani prestano orecchio alle sobillazioni di un «sultano» che si atteggia – sin dalla conversione di Aghia Sofia a moschea – a paladino di tutta la Umma islamica, attribuendo tutti i mali a una presunta islamofobia occidentale.

Al-Azhar invoca una legge internazionale contro la diffamazione delle religioni, mentre a Teheran si bruciano le foto di Macron.

Ieri il responsabile della comunicazione della presidenza turca ha respinto «qualsiasi tentativo di associarci con qualsiasi forma di violenza». «Riteniamo di non dovere scuse a nessuno per aver espresso la nostra forte opposizione al razzismo e alla xenofobia» recita un tweet. Parole che aspetteranno di essere tradotte in fatti.

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