mercoledì 29 giugno 2022
Si allarga a macchia d’olio il ricorso ai giudici statali. La riapertura immediata delle cliniche potrebbe avvenire presto anche in Idaho, Kentucky e Mississippi
È "guerriglia legale" sull'aborto. No al bando in Texas, Utah e Louisiana

Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Aborto farmacologico, tutela della privacy, contraccezione di emergenza. A cinque giorni dalla sentenza che ha smontato l’impianto giuridico su cui per quasi mezzo secolo si è retta negli Usa l’interruzione volontaria della gravidanza si moltiplicano i fronti da cui dipende l’assestamento dell’America post “Roe vs. Wade”. La transizione si annuncia lunga e complessa. Il verdetto della Corte Suprema infatti continua a essere sfidato a suon di ricorsi dai tribunali statali. I giudici distrettuali di Texas e Utah hanno autorizzato, come avvenuto lunedì in Louisiana, la riapertura immediata delle cliniche abortive ritardando, almeno fino alle prossime udienze a luglio, l’entrata in vigore delle restrizioni scattate venerdì, appena dopo la pubblicazione del pronunciamento a Washington. Lo stesso potrebbe avvenire anche in Idaho, Kentucky e Mississippi. In giornata è atteso l’esito della battaglia legale in Florida. Quella in corso, sintetizzano gli addetti ai lavori, è «guerriglia giudiziaria».

La portata dei ricorsi è (e resta) a livello di Stati. Il senso della sentenza firmata dal giudice Samuel Alito è del resto proprio questo: il «diritto all’aborto» non ha fondamento costituzionale, pertanto non ha legittimità federale. È questo il motivo per cui tra i democratici cresce l’impegno per fissare paletti che, a livello nazionale, possano rendere impraticabili ulteriori strette in materia. Uno di questi riguarda la tutela dei dati sanitari delle donne conservati negli archivi digitali delle applicazioni smartphone per il monitoraggio della salute femminile. L’ipotesi è che, in caso di contenziosi penali, questi dati, accessibili dagli avvocati previa autorizzazione dei gestori, possano essere utilizzati per incriminare le donne che per abortire si rivolgono ai servizi di uno Stato diverso da quello di residenza. La norma ventilata dalla presidente dem della Camera, Nancy Pelocy, mira proprio a porre le banche dati sotto tutela costituzionale. Dello stesso testo di legge fanno parte articoli per rafforzare il diritto di viaggiare liberamente da una città all’altra degli Stati Uniti per ottenere l’accesso all’aborto. L’iniziativa è acerba perché manca di dettagli concreti. Ai democratici serve tuttavia per provare a placare gli animi di quanti, all’interno dell’ala più a sinistra del partito, accusano il presidente Joe Biden di aver risposto in modo troppo tiepido alla mossa dei togati conservatori. Negli stessi ambienti si fa strada, tra l’altro, il dibattito su quelli che vengono descritti come attacchi al “muro” tra Stato e Chiesa mossi dai repubblicani. La pressione per un’integrazione di magistrati progressisti nelle Corti federali fa il paio con quella che punta a ottenere dalla Food and Drugs Administration un ulteriore alleggerimento dei criteri di accesso all’aborto farmacologico. L’autorità che vigila sulla sicurezza dei farmaci ha permesso l’anno scorso l’auto-somministrazione delle pillole abortive dopo video consultazione. I pro-choice ora chiedono che venga ampliata la lista dei fornitori autorizzati a dispensare mifepristone e misoprostolo – i prodotti per l’aborto farmacologico – ammettendo anche aziende sinora non certificate.

La rivoluzione della Corte di Washington sta facendo tornare a parlare anche di controllo delle nascite. L’effetto immediato della sentenza, peraltro attesa da mesi, è stato un picco negli acquisti dei «contraccettivi di emergenza» come la cosiddetta «pillola del giorno dopo». La catena di farmacie Cvs ne sta razionando le vendite (massimo tre scatole per ordine) per evitare di prosciugarne le scorte. Per lo stesso motivo Amazon ha introdotto il limite di tre scatole ordinabili a settimana.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI