mercoledì 11 maggio 2022
Dopo l'incontro con il presidente Usa Biden, la conferenza stampa del premier a Washington: il percorso negoziale è molto difficile ma il primo punto è come costruirlo
Il premier Draghi nella conferenza stampa all'ambasciata di Washington

Il premier Draghi nella conferenza stampa all'ambasciata di Washington - Ansa

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Mario Draghi insiste. Nella seconda giornata a Washington, dinanzi alla stampa, il suo messaggio sulla guerra in Ucraina non cambia. Anzi, si fa più incisivo: «Tutte le parti devono fare uno sforzo per arrivare a sedersi intorno ad un tavolo, in particolare Russia e Stati Uniti», sostiene il presidente del Consiglio, avanzando un’idea tabù per l’amministrazione Usa, che si sta invece preparando a un conflitto lungo. Martedì alla Casa Bianca Draghi ha voluto dunque avviare con Joe Biden quella «riflessione preventiva» che a suo dire l’evoluzione della situazione, sia sul terreno che nell’opinione pubblica del Vecchio Continente, rende urgente. «L’Europa è l’alleato degli Usa, quindi le sue visioni non sono in contrasto – ha premesso ieri il premier – ma stanno cambiando e dobbiamo parlarne. Bisogna riflettere sugli obiettivi di questa guerra e poi decidere».

L’emergere di un forte desiderio di vedere la fine delle ostilità e di smettere di parlare di vittoria a tutti i costi (o di sentirne parlare a raffica negli Usa) non è l’unico cambiamento in corso nel Vecchio Continente di cui Draghi ha voluto avvertire Biden. L’Europa sta vivendo una trasformazione «drastica», ha ribadito il primo ministro, scandendo parola per parola un concetto già avanzato il giorno prima nello Studio Ovale: «Eravamo uniti e ora siamo ancora più uniti», ha detto. E in serata, presentandosi a Capitol Hill per l’incontro con la speaker Nancy Pelosi e i leader dei gruppi politici del Congresso, ha rimarcato: «Porto il desiderio di pace dell’Europa». Per poi articolare il suo discorso, tenendo insieme sia la prospettiva negoziale sia la rivendicazione dell’invio di armi a Kiev «con ampio sostegno del Parlamento», perché l’attacco russo resta una minaccia per le democrazie. D’altra parte, aveva detto poche ore prima ai cronisti, «la Russia ha dimostrato di non essere Golia».

Mentre il direttore dell’intelligence Usa Avril Haines preannuncia al Senato una guerra protratta, e l’amministrazione democratica è determinata a dimostrare a Vladimir Putin che le carenze alimentari, l’inflazione e i problemi energetici non stanno indebolendo la sua motivazione, Draghi sostiene dunque che l’Europa vuole «cominciare a chiedersi come costruire la pace». Una discussione che secondo il premier deve partire dal definire che aspetto avrà questa pace. «Il percorso negoziale è molto difficile, ma il primo punto è che deve essere una pace che vuole l’Ucraina, non imposta da altri né tantomeno dagli alleati», ha detto dall’ambasciata italiana il primo ministro, convinto che bisogna eliminare anche il sospetto che si arrivi a una pace che «magari fa comodo agli Usa, all’Europa, ai russi», ma che non è accettabile dagli ucraini. «Sarebbe la ricetta per arrivare al disastro – ha detto –. Altrimenti non ci sarà pace, ci sarà una finta pace che verrà tradita ogni momento».

Un punto di partenza potrebbe essere una trattativa sul grano al quale le ostilità (o le mine ucraine, secondo il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov) impediscono di lasciare l’Ucraina, che rischia di creare una crisi alimentare in molti Paesi poveri. «L’esigenza di sbloccare i porti significa che i contatti devono essere riavviati a tutti i livelli», ha detto Draghi. Un’altra opportunità la presenta il G20 di novembre, dove è prevista la presenza di Putin e che gli Usa potrebbero boicottare. «Ne ho parlato brevemente con Biden - ha detto Draghi -, ho presentato la situazione per quel che è: saremmo tutti tentati di non sederci allo stesso tavolo cui si siede Putin, ma alla luce della necessità di costruire un tavolo di pace bisogna riflettere prima di abbandonare questi consessi».

Sebbene il capo di palazzo Chigi abbia ribadito di non essere venuto a Washington per giudicare gli americani, è chiaro che il suo insistere sul bandire dal vocabolario della diplomazia internazionale l’idea di sconfiggere la Russia stride con la visione che Biden ha avanzato più volte dell’inevitabile vittoria della democrazia, della libertà sulle forze della tirannia. Draghi non cerca però per il Belpaese un ruolo di primo piano nella mediazione. «All’inizio della guerra, molti dicevano che l’Italia doveva averlo - ha sottolineato -. Non è necessario cercare un ruolo, ma la pace». E a livello europeo bisogna anche affrontare le conseguenze della guerra. Sia, in un prossimo futuro, la ricostruzione dell’Ucraina, sia, oggi, l’inflazione che «è un problema grandissimo», ammette il premier, peraltro sempre convinto che l’Italia non finirà quest’anno in recessione e che «è necessario che si giunga presto all’imposizione di un tetto al prezzo del gas». Il caro-prezzi è il «problema», rimarca Mario Draghi. Non, invece, i profughi, che l’Italia accoglie «a braccia aperte».

Quanto invece al tema del riarmo, il premier ha ripetuto la linea assunta da diverse settimane: una conferenza Ue sulla difesa comune con primo obiettivo «razionalizzare» la spesa, già adesso molto più alta di quella russa.


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