lunedì 19 maggio 2014
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Un fiume in piena: fatto di appelli, preghiere e riflessioni. Un flusso di parole affidato alla rete per commentare una notizia che da un paio di giorni sta tenendo il mondo con il fiato sospeso. Poche parole o concetti elaborati per dire una sola cosa: Meriam deve vivere, non è possibile che oggi, nel 2014, si venga condannati a morte, o a una qualsiasi altra pena, per la propria religione. Non è possibile in ogni caso ma ancora di più se si è una giovane mamma, rinchiusa in carcere con il figlio di 20 mesi e in attesa di un secondo bambino. Non è possibile se la tua unica colpa è quella di aver mantenuto la tua religione e non essersi convertita a quella di un padre che ti ha abbandonato quando avevi solo sei anni. La campagna lanciata da Avvenire giovedì pomeriggio sta riscuotendo un grande successo. Si viaggia spediti verso le diecimila adesioni arrivate sul sito, hanno raggiunto quota 1,7 milioni le visualizzazioni sulla pagina Facebook del quotidiano mentre continua ad esserci grande fermento su twitter grazie all’hasttag #meriamdevevivere.Un dibattito aperto per lasciare spazio alla speranza. A scrivere sono soprattutto le donne, molte dicono di non trovare le parole per descrivere quello che la storia di Meriam suscita nei loro cuori. Ma il filo conduttore è fatto di parole chiave che sono la libertà e il rispetto, la pietà e il destino, il diritto e l’ingiustizia. «Le condanne dovrebbero essere riservate solo a chi fa del male al prossimo. Che male ha fatto questa ragazza?» si chiede Annamaria interpretando lo stupore di molti di fronte ad un sentenza tanto assurda. Amore non odio, per una mamma che deve «veder nascere il suo piccino» scrivono in tante. «Ancora non riusciamo a comprendere che ogni male procurato ritorna come un boomerang su noi stessi rendendo questo mondo un posto dove non vorresti vivere» è il commento amaro lasciato da Daniele. Non c’è solo l’Italia che si mobilita, alla campagna ha aderito anche il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Molti scrivono, quando qui è notte fonda, dall’America latina, alcuni dai paesi arabi e anche nelle loro parole l’indignazione è tanta. Perché la lotta contro l’ingiustizia non conosce confini.
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