giovedì 25 novembre 2021
Nonostante il desiderio (teorico) del premier Boris Johnson di fare di Westminster un luogo sempre più «amico delle famiglie» il nuovo regolamento boccia le mamme
La deputata laburista britannica, ora neo-mamma, Stella Creasy

La deputata laburista britannica, ora neo-mamma, Stella Creasy - Ansa

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Westminster non è un posto per neonati. Quindi nemmeno per deputate con al seguito bambini da allattare. È la sintesi dell’insolita cronaca parlamentare che ha visto protagonista la laburista Stella Creasy, 44 anni, che dopo essersi presentata a un dibattito ai Comuni con il piccolo Pip, di appena 13 settimane, si è vista recapitare una comunicazione di richiamo da parte dell’amministrazione della Camera: «Se accompagnata da un bambino, non può sedersi sullo scranno in aula», né partecipare ai dibattiti.

Non è la prima volta che, martedì, Creasy portava con sé «al lavoro» i suoi figli. Diverse volte lo aveva già fatto anche con la primogenita, Hettie, come del resto erano solite fare fino a poco tempo fa altre deputate.

Le autorità a garanzia del codice di condotta del Parlamento hanno tuttavia segnalato che, a settembre, il regolamento è stato rivisto in chiave restrittiva, pare, per motivi di sicurezza. Argomento stonato in Paese sempre attento alle questioni, come la differenza salariale tra uomo e donna, relative alla parità di genere. L’accesso improprio della parlamentare, tra l’altro, non ha riguardato l’aula principale ma una secondaria in genere utilizzata per completare i lavori. «Nella madre di tutti i Parlamenti – ha commentato la laburista – le madri non devono essere viste o sentite».

L’inciso è stato ancora più pungente: a Westminster, intanto, «non si sono ancora regole sull’uso delle mascherine contro il Covid».

Il punto più basso del dibattuto è stato raggiunto quando il deputato conservatore Scott Benton ha attaccato la collega sottolineando che, come fanno tutti i genitori che lavorano, avrebbe potuto lasciare il piccolo a casa con qualcuno che si occupasse di lui. «Cosa ti fa così speciale?» ha scritto in un tweet.

A placare gli animi è intervenuto il presidente dalla Camera, Lindsay Hoyle, che ha fatto sapere di aver chiesto la revisione delle regole che, tuttavia, «cambiano con il tempo». È «estremamente importante – ha ribadito – che i genitori di neonati e bambini piccoli possano partecipare appieno al lavoro dei Comuni».

Creasy è impegnata da tempo in una campagna, «Questa mamma vota», volta ad avvicinare alla politica le donne che sono anche madri. In particolare, si batte contro la differenza di trattamento, varata con una legge all’inizio dell’anno, tra ministri e deputati in maternità o paternità. In breve, il budget messo a disposizione di questi ultimi per assumere collaboratori durante l’assenza non è lo stesso.

Downing Street ha ribadito il desiderio del premier Boris Johnson di fare del Parlamento un luogo sempre più «amico delle famiglie» ricordando i progressi, come il cosiddetto «proxy vote», fatti negli ultimi anni. Approvato nel 2019, questo meccanismo prevede che le neomamme (o i neo-papà) possano delegare un collega al voto in aula.

Protagonista della conquista è stata un’altra mamma, la LibDem Jo Swinson, determinata a vendicare lo sgambetto ricevuto dal conservatore Brandon Lewis: un mese dopo il parto, la donna ottenne dal collega la disponibilità al «pairing», ovvero a un’assenza concordata «di coppia», tra deputati di fazione opposta, un “fair play” previsto per mantenere inalterati gli equilibri dell’aula in caso di impedimenti al voto. La seduta a cui Swinson rinunciò per stare a casa con il suo bambino era su un passaggio chiave per la Brexit. Il collega, tuttavia, non mantenne la parola.

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