mercoledì 30 dicembre 2020
Medici senza frontiere gestisce un ospedale nella zona di Idlib: dal 9 luglio al 21 dicembre sono più di 19.538 i casi confermati. Manca l’ossigeno. Sistema sanitario al collasso dopo 10 anni di bombe
Bimbi della scuola elementare del villaggio di Ma’arin, vicino Aleppo, controllato dai jihadisti

Bimbi della scuola elementare del villaggio di Ma’arin, vicino Aleppo, controllato dai jihadisti - Ansa

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Soffocati dalla paura e dalla mancanza di ossigeno: si raccontano così i civili siriani nel nord ovest del Paese, alle prese da un lato con l’ennesimo inverno all’addiaccio, dall’altro con l’aumento del numero di casi di Covid-19.

Secondo gli ultimi dati diffusi dalla Johns Hopkins University, che monitora la diffusione del virus nel mondo, in Siria secondo il governo ci sono 11.138 casi confermati e 686 vittime dall’inizio della pandemia, ma gli aggiornamenti che giungono da differenti fonti della città di Idlib sono peggiori.

L’Ong Medici senza frontiere (Msf), che nella zona gestisce un ospedale, denuncia che dal 9 luglio al 21 dicembre a Idlib sono più di 19.538 i casi confermati di Covid.

Nell’ultimo bollettino diffuso dall’Idlib Health Directorate vengono segnalati 72 nuovi casi, di cui 30 a Idlib e 42 nella periferia di Aleppo che portano il numero totale dei contagiati a 20.047. Cifre che fanno preoccupare, soprattutto perché a Idlib sono ammassate oltre tre milioni di persone e una parte della provincia è ancora sotto il controllo dei jihadisti.

Dieci anni di bombardamenti hanno provocato un collasso del sistema sanitario in Siria. Mancano strutture adeguate, farmaci, bombole di ossigeno, dispositivi di protezione individuale. Il giornalista Yusef Gharibi, che opera nella regione, ha raccontato il caso emblematico di Qusay, un giovane che ha girato più farmacie e ospedali alla ricerca di una bombola di ossigeno (il cui costo è salito a oltre 25 lire turche) per la madre colpita dal Covid-19, senza riuscire a trovarne nemmeno una, restando così impotente di fronte alla donna che soffocava.

Anas Daghim, direttore della divisione di primo soccorso a Idlib ha denunciato che mancano bombole di ossigeno in tutta la città e che spesso i cittadini usano dispositivi per aerosol non trovando altro. Grande preoccupazione è stata espressa anche dal dottor Ibrahim (nome di fantasia dato dal Msf per tutelarne la sicurezza, ndr) che opera nel centro di isolamento e trattamento supportato da Msf: «Le persone con sintomi gravi dovrebbero essere ricoverate in ospedale, ma la capacità degli ospedali di riceverli diminuisce con l’aumentare del numero di casi. Anche il trasferimento di casi gravi ad altre strutture sta diventando sempre più impegnativo».

Dei 542 pazienti trattati nel centro dalla sua apertura nell’aprile 2020, più dell’80% è stato ricoverato negli ultimi due mesi. Negli ultimi mesi il centro di trattamento per Covid-19 da 30 posti letto nell’ospedale di Idlib, inizialmente progettato per curare pazienti con sintomi lievi o moderati, ha visto un aumento dei malati con sintomi gravi.

«I campi sono sovraffollati e le persone vivono vicine. La situazione generale potrebbe deteriorarsi rapidamente. Se accadrà, dubito che il sistema sanitario sarà in grado di farcela», ha affermato il dottor Ibrahim.

Oltre alla minaccia di un sovraffollamento degli ospedali, altra grande preoccupazione è la mancanza di test nella regione. Solo tre laboratori nel nord-ovest della Siria, tutti privati, eseguono attualmente test sul coronavirus. Questi laboratori forniscono test gratuiti soltanto su segnalazione di una struttura sanitaria, altrimenti bisogna pagarlo, rendendolo così inaccessibile a molte persone con un reddito limitato o nullo.

Di conseguenza, i malati arrivano in una struttura sanitaria solo quando le loro condizioni sono gravi. In questo quadro di grande precarietà emerge anche un altro pericolo, quello dello stigma della malattia. «Parlare di Covid-19 è quasi un tabù» racconta Sara, un’infermiera di Msf che fornisce supporto remoto al centro: «Lo stigma è un problema all’interno delle comunità e dobbiamo ascoltare le paure e le preoccupazioni delle persone riguardo al Covid-19 per aiutarle ad affrontarlo. Temiamo anche che questo contribuisca a far sì che più persone nascondano la loro infezione causando una diffusione più rapida del virus».

Il capo dell’ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari Mark Lowcock, intervenendo mercoledì scorso al Consiglio di Sicurezza, ha affermato che in Siria milioni di persone sono state lasciate sfollate, impoverite, traumatizzate e che hanno subito «profonde perdite personali. Inoltre, un’economia in declino, Covid-19, la crescente insicurezza alimentare e la malnutrizione, stanno facendo aumentare il numero complessivo di persone bisognose».

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