giovedì 6 maggio 2021
Il cardinale Ravasi, insieme alla fondazione Cure, riunisce scienziati, religiosi e artisti per la quinta conferenza vaticana: sono necessarie più lenti per mettere a fuoco un quadro completo
Il cardinale Gianfranco Ravasi

Il cardinale Gianfranco Ravasi - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Un simbolo potente di questo tempo. Ma anche una bussola per proiettarsi verso un tempo nuovo. Se il vaccino è un prodotto reale, concreto, fisico, la sua condivisione – ora più vicina grazie al nuovo orientamento dei Grandi sulla sospensione dei brevetti – lo trasforma in metafora di resilienza. «Il verbo latino resilire significa “rimbalzare”. Di fronte all’impatto provocato da un urto, la resilienza risponde con un balzo più spiccato verso l’alto. È questo lo slancio a cui siamo chiamati per costruire e immaginare il post-Covid. E la molla del balzo è la solidarietà. Per utilizzare una suggestione letteraria, solo l’amore consente di attraversare i tempi del colera», afferma il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio per la Cultura. La notizia del “nuovo corso” sulle licenze degli Usa, seguiti a ruota dalla Ue, è arrivata alla vigilia della quinta conferenza vaticana organizzata da quest’ultimo insieme alla Cura Foundation dal titolo Esplorando la mente, il corpo, l’anima. Dagli esperti Anthony Fauci e Walter Ricciardi a Kerry Kennedy, dal segretario di Stato, Pietro Parolin al musicista degli Aerosmith, Joe Perry, oltre cento personalità partecipano all’evento, che si conclude domani con un messaggio di papa Francesco. Un tema suggestivo quanto complesso, reso ancora più attuale dall’emergenza sanitaria in corso. «Ancora una volta, facciamo dialogare insieme scienziati, medici, assistenti sociali, leader religiosi, rappresentanti del diritto e dell’industria, studiosi di etica, antropologia e filantropia, di qualunque fede, orientamento ed estrazione culturale nella consapevolezza che che nessun approccio isolato può risolvere le sfide sconcertanti e critiche della contemporaneità. Sono necessarie più lenti per mettere a fuoco un quadro completo dell’essere e dell’esistenza», sottolinea il porporato.
Crede che la pandemia ci abbia insegnato qualcosa in tal senso?
Ci ha ricordato che l’essere umano non è solo un “dato biologico”. Certo, il corpo è fatto di materia ma è anche l’elemento costitutivo della comunicazione interpersonale, dunque implica l’interiorità. Il virus non ci ha tolto solo la salute fisica: ha mutilatole relazioni umane. L’insofferenza verso le restrizioni, spesso scomposta e aggressiva, mette in luce come il virtuale, per quanto utile, non può sostituire il reale. Il vero benessere coniuga il fisico con la mente e l’anima. Pertanto, implica la cultura, la filosofia, l’arte, la spiritualità, la religione.
Che ruolo possono avere queste sfere nel processo di guarigione sociale e globale?
Una funzione cruciale perché, per trasformare la crisi in un’occasione di crescita, è fondamentale trovarne il senso. O almeno mettersi in ricerca. Il virus ci ha costretto a fare i conti con il limite, con la morte, la “grande apolide” del presente. Il Covid, inoltre, ci ha toccato tutti, facendoci riscoprire la nostra radice comune. Consapevolezze che spiritualità e cultura ci possono aiutare ad orientare.
Verso quale direzione?
Parlavo prima di resilienza. La resilienza cristiana è la speranza. Nella Bibbia, la frase «non aver paura» ricorre 365 volte, una per ogni giorno dell’anno. È il buongiorno quotidiano di Dio che ci spinge ad andare avanti. Insieme.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI